giovedì 26 aprile 2018

Un po’…sono tornato a casa: 6sei66 a Torino


Seconda presentazione del mio romanzo. In trasferta, questa volta! Grazie alle solide amicizie di mia sorella nel mondo intellettuale sabaudo, sono stato inserito, assieme ad altri cinque colleghi, nella rosa di scrittori esordienti chiamati a declinare proprio … “Un libro per una rosa”.
Tema centrale: l’amore. Promotore dell’iniziativa è l’associazione culturale “Amico Libro” che ha sede proprio a Torino. Trasferta torinese, quindi. Che si prolunga alla notte grazie all'ospitalità della mia torinese sorella e del mio torinese cognato.



Giornata praticamente estiva. Viaggio in treno, passando da Milano (vogliamo parlare di questo allungamento della linea a scapito della tratta Voghera-Alessandria? No, ora no…). Mi accompagna mia moglie, zaini in spalla. Sono in ansia. Non conosco nessuno. E poi saremo in sei…di cosa riuscirò a parlare, nel “poco” tempo a disposizione? Per distrarmi, mi sono portato dietro la bozza a matita della prima parte del mio nuovo romanzo, ancora in fase assai insicura (vedrà mai la luce?). Mia moglie spreme la sua creatività per un progetto professionale assai interessante. Tra le risaie e le chiese del Canavese, decido di riprendere gli appunti della prima, e finora unica, presentazione del mio libro. Un’ansia da “ripasso” dell’ultimo minuto che, se avessi avuto più intensa al liceo,…mi sarebbe stata utile!
La stazione di Porta Nuova è gradevole all’interno, sontuosa e colorata all’esterno. Il bello di Torino è che ti fa immergere subito, appena arrivato, nella città signorile, un “centro” elegante fatto di strade dritte e perpendicolari, di tram e palazzi pre-novecenteschi con le finestre decorate e quelle che spuntano sui tetti e fanno tanto Parigi. Poi i portici di via Roma, con le vetrine dei brand di moda più glamour a cui si alternano i marchi distributivi del Nord Europa, caratterizzati da una qualità accettabile ad un prezzo accessibile. Mia moglie si fermerebbe lì, e poi là, e poi ancora laggiù. Io intanto fremo, ed ho caldo. Il sole scalda una Torino ariosa, colorata, viva. La direzione non va persa di vista, e non è ancora la sede della presentazione. Mancano un paio d’ore all’appuntamento.
È irresistibile la tentazione di raggiungere i Giardini Reali, dove un sistema lungimirante fra pubblico, privato e associazionismo ha avuto l’idea magnifica di fornire i visitatori di vere e proprie sdraio su cui prendere il sole e riposarsi. Sono molte le scolaresche. Penso allora ai miei bambini lasciati a casa. La visita scolastica ha per oggetto il Palazzo Reale, bellissimo e ricco di collezioni risalenti a svariate epoche storiche.
Relax, per qualche minuto. Che passa in fretta. L’agitazione monta, come la paura di arrivare in ritardo. Bisogna prendere il tram ed assicurarsi di scendere alla giusta fermata. Tutto OK. Un ultimo tratto a piedi, inutilmente indirizzato dal dispositivo telefonico che, ormai, quasi non telefona più. L’incontro con mia sorella all’ingresso mi consente di entrare con un minimo di sicurezza.



I saluti alla Presidente dell’associazione sono dovuti e sinceri. Pur essendo in anticipo, la sala dell’elegante appartamento in giallo affrescato è già piena di gente. Tra questa, sono sicuramente presenti gli altri cinque scrittori.



Il mio nome è segnato sulla locandina dell’incontro, proiettata su uno schermo piatto che sovrasta il tavolo dei relatori. “Cosa mi chiederanno?” mi faccio questa domanda mentre aspetto, e noto che sono le stesse domande che si pongono gli organizzatori e la moderatrice, che col sorriso sulle labbra dirà di essere un “editore”, non un “editor” riferendosi così ad un equivoco evidentemente comune. Si sceglie la presenza contemporanea di tutti al tavolo. E ad un certo punto vengo chiamato anch’io.



La prima domanda è quasi scontata: una breve presentazione dei rispettivi libri. Per fortuna non si comincia da me. Storie vere di famiglia e di guerra mi precedono, apripista dei "romanzi".



“Buonasera a tutti…” la voce non mi tradisce. Lo fa la memoria, che mi fa incartare sul quarto dei tre protagonisti del mio romanzo, che lì per lì non riesco a ricordare. Mia moglie mi viene in soccorso dalla platea, e la gaffe si ricompone.



Arrivo alla fine di un intervento di circa quattro minuti. Mi sembra di aver solleticato qualche curiosità, ma la risposta deve venire anche dagli altri romanzieri e si va oltre. Una storia d’amore fra due ragazzi ebrei, un diario appassionato ed un amore che nasce su un tram.
Un bel mix, a detta di tutti i presenti. Poi la domanda che spinge a filtrare e selezionare. Quella che mi aspettavo e mi metteva ansia. Una storia d’amore, una sola di quelle raccontate nel libro. Quale? Ho pochi minuti per sceglierla. La prima opzione è quella dei due ragazzi degli anni Ottanta che si innamorano e decidono di fare un viaggio insieme, in treno. Però è una vicenda che non mi consente di dare suggestioni in un tempo così breve. Scelgo allora una storia più lontana, ambientata in Germania Est. La fuga e la perdita dell’amore, che forse non sarebbe avvenuta se le condizioni di quel luogo e di quel tempo fossero state diverse.



Sono attento a non rivelare troppo, rischiando però – mi dico – di attirare poca curiosità. Termino il mio intervento dopo circa tre minuti, e lascio spazio agli altri.
L’incontro si avvia alla conclusione. C’è il tempo di una poesia, poi spazio a dediche ed, eventualmente, agli acquisti. I miei guadagni monetari coprono solo parte del tratto percorso in treno, ma non era ovviamente quello l’obiettivo. Sono soddisfatto, è stata una esperienza utile ed arricchente. La mia prima trasferta.
Non ci resta che … cenare! Ci spostiamo esattamente sul tram “d’epoca” che è al centro di uno dei libri presentati oggi. È bello dirigersi verso il centro della città. Costeggiare il Po, le piste ciclabili, il parco ed il castello del Valentino. Scorgere in lontananza la Gran Madre e sbucare, infine, nell’ampia piazza Vittorio Veneto. I tavolini ospitano i frequentatori dell’aperitivo serale. Studenti universitari, giovani e meno giovani si godono l’aria frizzante, quasi estiva. Noi salteremo l’aperitivo, dritti alla cena.








Il ristorante è ai piedi di una sontuosa Mole Antonelliana, che acquista nuove luci e colori man mano che, dolcemente, prende piede la sera e poi la notte. Nei piatti ritrovo la mia piemontesità mai del tutto sopita. Andando verso casa di mia sorella, attraversiamo una zona universitaria popolata di pub e locali frequentati da giovani, agli angoli delle vie, con le sedie e gli sgabelli fuori che sembra già Giugno. La Mole si allontana, ma è sempre più o meno vicina. Passano i tram della sera, che ho sdegnosamente rifiutato per fare movimento. Mi ricordavo una destinazione più vicina. Ricordavo male. La Mole mi saluta un’ultima volta prima di dormire, in casa, dalla finestra della sala.

Al mattino si riparte, presto. L’aria è fresca e rende Aprile un po’ più riconoscibile. Le Alpi sono ancora innevate, del resto. Arriviamo in taxi alla stazione. Il viaggio tocca più da vicino, rispetto all’andata, i "miei" luoghi. Le colline, le vigne. Tutto sommato, sono a casa prima delle undici del mattino, mentre il Freccia Bianca prosegue verso il tacco della penisola. È andata. Fra poco riabbraccerò i miei bambini. Finalmente.

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