lunedì 10 dicembre 2018

SAVE 22/12/18: Presentazione del romanzo 6sei66 a Bologna

Amici bolognesi, segnatevi questa data: verrò il 22 dicembre 2018 al Caffè Letterario Notturno Sud di Bologna a presentare il mio romanzo "6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento", assieme ad altri autori di Edizioni DrawUp.
Vi aspetto!


venerdì 31 agosto 2018

Un pezzo di strada: la mia



Cinque anni di me. Un lustro importante, per la mia vita. Durante il quale sono entrato negli “anta”. Ho visto crescere i miei figli. Ho coltivato le mie passioni, a cui si è aggiunta la scrittura. Ho maturato le mie opinioni rispetto al contesto politico, sociale ed economico, e ne ho scritto su social, blog, siti web, lettere a quotidiani.
Ho infine recuperato tutte queste tracce da me lasciate in giro a partire dall'anno 2013 e le ho raccolte in un unico testo, in ordine più o meno sparso.
Spero che il lettore possa riconoscersi in qualcosa che, di me, è qui rappresentato: un pensiero, un’opinione, una passione. Un’indignazione. Una speranza. Una visione per il futuro dei nostri figli. Se non si troverà d’accordo, andrà bene lo stesso. Mi sarà bastato condividere con lui una parte di me, un mio pezzo di strada.

Se hai voglia di RECENSIRE il mio libro, puoi leggerlo GRATIS collegandoti al sito de Ilmiolibro. Mille grazie!

martedì 12 giugno 2018

Nuova edizione del romanzo 6sei66: l'e-book è GRATUITO!


E' disponibile una nuova edizione del romanzo 6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento.

Per il primo mese, è possibile scaricare gratis l'e-book in formato e-pub comodamente leggibile da smartphone 

Approfitta di questa occasione!

La versione cartacea è, invece, acquistabile a soli € 11,50 dal medesimo sito.

venerdì 25 maggio 2018

Cercasi relatore ad incontro di presentazione del romanzo



Se ti è piaciuto, vorresti fare da relatore ad un incontro di presentazione del libro in una libreria di Parma?

Contattami: 


Grazie mille, 
alberto

giovedì 26 aprile 2018

Un po’…sono tornato a casa: 6sei66 a Torino


Seconda presentazione del mio romanzo. In trasferta, questa volta! Grazie alle solide amicizie di mia sorella nel mondo intellettuale sabaudo, sono stato inserito, assieme ad altri cinque colleghi, nella rosa di scrittori esordienti chiamati a declinare proprio … “Un libro per una rosa”.
Tema centrale: l’amore. Promotore dell’iniziativa è l’associazione culturale “Amico Libro” che ha sede proprio a Torino. Trasferta torinese, quindi. Che si prolunga alla notte grazie all'ospitalità della mia torinese sorella e del mio torinese cognato.



Giornata praticamente estiva. Viaggio in treno, passando da Milano (vogliamo parlare di questo allungamento della linea a scapito della tratta Voghera-Alessandria? No, ora no…). Mi accompagna mia moglie, zaini in spalla. Sono in ansia. Non conosco nessuno. E poi saremo in sei…di cosa riuscirò a parlare, nel “poco” tempo a disposizione? Per distrarmi, mi sono portato dietro la bozza a matita della prima parte del mio nuovo romanzo, ancora in fase assai insicura (vedrà mai la luce?). Mia moglie spreme la sua creatività per un progetto professionale assai interessante. Tra le risaie e le chiese del Canavese, decido di riprendere gli appunti della prima, e finora unica, presentazione del mio libro. Un’ansia da “ripasso” dell’ultimo minuto che, se avessi avuto più intensa al liceo,…mi sarebbe stata utile!
La stazione di Porta Nuova è gradevole all’interno, sontuosa e colorata all’esterno. Il bello di Torino è che ti fa immergere subito, appena arrivato, nella città signorile, un “centro” elegante fatto di strade dritte e perpendicolari, di tram e palazzi pre-novecenteschi con le finestre decorate e quelle che spuntano sui tetti e fanno tanto Parigi. Poi i portici di via Roma, con le vetrine dei brand di moda più glamour a cui si alternano i marchi distributivi del Nord Europa, caratterizzati da una qualità accettabile ad un prezzo accessibile. Mia moglie si fermerebbe lì, e poi là, e poi ancora laggiù. Io intanto fremo, ed ho caldo. Il sole scalda una Torino ariosa, colorata, viva. La direzione non va persa di vista, e non è ancora la sede della presentazione. Mancano un paio d’ore all’appuntamento.
È irresistibile la tentazione di raggiungere i Giardini Reali, dove un sistema lungimirante fra pubblico, privato e associazionismo ha avuto l’idea magnifica di fornire i visitatori di vere e proprie sdraio su cui prendere il sole e riposarsi. Sono molte le scolaresche. Penso allora ai miei bambini lasciati a casa. La visita scolastica ha per oggetto il Palazzo Reale, bellissimo e ricco di collezioni risalenti a svariate epoche storiche.
Relax, per qualche minuto. Che passa in fretta. L’agitazione monta, come la paura di arrivare in ritardo. Bisogna prendere il tram ed assicurarsi di scendere alla giusta fermata. Tutto OK. Un ultimo tratto a piedi, inutilmente indirizzato dal dispositivo telefonico che, ormai, quasi non telefona più. L’incontro con mia sorella all’ingresso mi consente di entrare con un minimo di sicurezza.



I saluti alla Presidente dell’associazione sono dovuti e sinceri. Pur essendo in anticipo, la sala dell’elegante appartamento in giallo affrescato è già piena di gente. Tra questa, sono sicuramente presenti gli altri cinque scrittori.



Il mio nome è segnato sulla locandina dell’incontro, proiettata su uno schermo piatto che sovrasta il tavolo dei relatori. “Cosa mi chiederanno?” mi faccio questa domanda mentre aspetto, e noto che sono le stesse domande che si pongono gli organizzatori e la moderatrice, che col sorriso sulle labbra dirà di essere un “editore”, non un “editor” riferendosi così ad un equivoco evidentemente comune. Si sceglie la presenza contemporanea di tutti al tavolo. E ad un certo punto vengo chiamato anch’io.



La prima domanda è quasi scontata: una breve presentazione dei rispettivi libri. Per fortuna non si comincia da me. Storie vere di famiglia e di guerra mi precedono, apripista dei "romanzi".



“Buonasera a tutti…” la voce non mi tradisce. Lo fa la memoria, che mi fa incartare sul quarto dei tre protagonisti del mio romanzo, che lì per lì non riesco a ricordare. Mia moglie mi viene in soccorso dalla platea, e la gaffe si ricompone.



Arrivo alla fine di un intervento di circa quattro minuti. Mi sembra di aver solleticato qualche curiosità, ma la risposta deve venire anche dagli altri romanzieri e si va oltre. Una storia d’amore fra due ragazzi ebrei, un diario appassionato ed un amore che nasce su un tram.
Un bel mix, a detta di tutti i presenti. Poi la domanda che spinge a filtrare e selezionare. Quella che mi aspettavo e mi metteva ansia. Una storia d’amore, una sola di quelle raccontate nel libro. Quale? Ho pochi minuti per sceglierla. La prima opzione è quella dei due ragazzi degli anni Ottanta che si innamorano e decidono di fare un viaggio insieme, in treno. Però è una vicenda che non mi consente di dare suggestioni in un tempo così breve. Scelgo allora una storia più lontana, ambientata in Germania Est. La fuga e la perdita dell’amore, che forse non sarebbe avvenuta se le condizioni di quel luogo e di quel tempo fossero state diverse.



Sono attento a non rivelare troppo, rischiando però – mi dico – di attirare poca curiosità. Termino il mio intervento dopo circa tre minuti, e lascio spazio agli altri.
L’incontro si avvia alla conclusione. C’è il tempo di una poesia, poi spazio a dediche ed, eventualmente, agli acquisti. I miei guadagni monetari coprono solo parte del tratto percorso in treno, ma non era ovviamente quello l’obiettivo. Sono soddisfatto, è stata una esperienza utile ed arricchente. La mia prima trasferta.
Non ci resta che … cenare! Ci spostiamo esattamente sul tram “d’epoca” che è al centro di uno dei libri presentati oggi. È bello dirigersi verso il centro della città. Costeggiare il Po, le piste ciclabili, il parco ed il castello del Valentino. Scorgere in lontananza la Gran Madre e sbucare, infine, nell’ampia piazza Vittorio Veneto. I tavolini ospitano i frequentatori dell’aperitivo serale. Studenti universitari, giovani e meno giovani si godono l’aria frizzante, quasi estiva. Noi salteremo l’aperitivo, dritti alla cena.








Il ristorante è ai piedi di una sontuosa Mole Antonelliana, che acquista nuove luci e colori man mano che, dolcemente, prende piede la sera e poi la notte. Nei piatti ritrovo la mia piemontesità mai del tutto sopita. Andando verso casa di mia sorella, attraversiamo una zona universitaria popolata di pub e locali frequentati da giovani, agli angoli delle vie, con le sedie e gli sgabelli fuori che sembra già Giugno. La Mole si allontana, ma è sempre più o meno vicina. Passano i tram della sera, che ho sdegnosamente rifiutato per fare movimento. Mi ricordavo una destinazione più vicina. Ricordavo male. La Mole mi saluta un’ultima volta prima di dormire, in casa, dalla finestra della sala.

Al mattino si riparte, presto. L’aria è fresca e rende Aprile un po’ più riconoscibile. Le Alpi sono ancora innevate, del resto. Arriviamo in taxi alla stazione. Il viaggio tocca più da vicino, rispetto all’andata, i "miei" luoghi. Le colline, le vigne. Tutto sommato, sono a casa prima delle undici del mattino, mentre il Freccia Bianca prosegue verso il tacco della penisola. È andata. Fra poco riabbraccerò i miei bambini. Finalmente.

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mercoledì 14 marzo 2018

Analfabetismo di ritorno: sconfiggerlo si può

Foto tratta dal sito: http://quisilegge.net/ranieri-sofia-scoprono-le-reader

Gentile Direttore,

in riferimento al Suo editoriale di oggi, vorrei esprimere la mia opinione su una delle possibili cause dell’analfabetismo di ritorno, così diffuso nel nostro Paese, e sui rimedi che ciascuno di noi può mettere in atto. Sono nato a fine anni Settanta ed ero, quindi, bambino negli Ottanta. Non c’erano gli smartphone, ma spopolava la TV commerciale. Per anni, ammetto di essere stato attratto più dai cartoni animati infarciti di pubblicità che dai libri. Forse posso fare un paragone approssimativo: per me bambino, la TV privata di allora era come il cellulare per molti bambini di oggi.
Conosco miei coetanei che sono, in quel contesto, ugualmente riusciti a coltivare la passione per la lettura: non voglio, quindi, né generalizzare né dare colpe improprie alla televisione. Però il modello commerciale e pubblicitario, che negli anni Ottanta era appannaggio delle TV private, si è poi progressivamente esteso anche alla RAI e, più in generale, all'editoria ed ai media (compreso Internet), comprimendo - invece di stimolare - quella curiosità che guida l’esperienza del lettore.
Tronisti, isole dei famosi, continuo mercimonio di sentimenti messi in piazza, morbosa attenzione alla cronaca nera. Non solo in TV. Le edicole vedono moltiplicarsi le riviste di gossip, tutte uguali nell'eludere scientificamente la realtà e nel vellicare la pigrizia mentale e l’assuefazione dei cosiddetti lettori. Che sono, spesso, persone mature o anziane.
La speranza viene, ancora una volta, dai bambini, se opportunamente distolti dall'eccessiva fruizione di videogiochi, smartphone, video, canali TV dedicati, ecc. Non è facile. Però gli smartphone possono anche essere utilizzati, con una qualsiasi app gratuita, per leggere e-book acquistati o presi in prestito. O per ascoltare audiolibri. E se stimolati, i bambini di oggi si incuriosiscono anche dei libri cartacei: lo dimostrano i laboratori di lettura e gioco che anche a Parma sono così diffusi e partecipati.
Nonostante la forza di un modello culturale e televisivo che tende ad assecondare il disinteresse per la lettura, rimango convinto che sia tuttora possibile – a dispetto di come va il mondo, o l’Italia – annaffiare la curiosità dei bambini in modo da attivare in loro il desiderio irrefrenabile di conoscere. Leggendo.

(Lettera al Direttore pubblicata sulla Gazzetta di Parma del 14 Marzo 2018)

mercoledì 28 febbraio 2018

Fiducia e povertà


Può essere che non fosse la verità. È lecito non dare fiducia a chi non si conosce. L’ho imparato addirittura io, che pochi anni fa arrivai a credere ad un uomo che mi chiedeva i soldi per andare in taxi a recuperare delle chiavi fuori città per aprire la porta a suo figlio, rimasto chiuso in casa. Una storia inverosimile, che non mi impedì di aiutarlo: ancora aspetto che il sedicente fornaio (così si era qualificato) torni a restituirmi il prestito.
Oggi in pausa pranzo sto passeggiando in via Farini, quando vengo fermato da un uomo in condizioni molto decorose che mi chiede di ascoltarlo: ha perso il lavoro e avrebbe bisogno di poco denaro per mangiare qualcosa di caldo. Io ascolto, ma rispondo - mentendo - di non avere denaro. Poi torno a passeggiare, ma continuo a pensare a quell’uomo. Avrà avuto la mia età. La barba ingrigita era curata. Sembrava italiano. Fa freddo, freddissimo. Avrò poi fatto bene a comportarmi così? Non fidarsi è meglio, mi ripeto. Probabilmente quell’uomo non è chi dice di essere. E i miei soldi sarebbero stati destinati ad altro che ad una reale necessità primaria. Però fa così freddo. E quel ragazzo potrei essere io. Se mi trovassi io, nella situazione da lui accennata? E se non avessi altre fonti parentali a cui attingere? È proprio così distante da me un simile scenario? Sempre che, beninteso, mi sia stata detta la verità.
Ci vuole coraggio a mostrare la propria povertà. Ad andare incontro alla sfiducia, al rifiuto delle persone a cui chiedi aiuto. Se fosse tutto vero? Decido di fermarmi. Forse è ancora in giro nelle vicinanze. Tiro fuori del denaro, non molto, dal mio portafoglio. Guardo indietro, ritorno all’imbocco della via. Non sono sicuro sul da farsi, ma vorrei parlargli, guardarlo negli occhi mentre mi risponde. Finalmente lo rivedo e gli faccio cenno di avvicinarsi a me. Ora mi sembra più magro rispetto alla prima impressione. Gli chiedo se è vero che ha perso il lavoro (come mi sentirei io nei suoi panni? Ovvero se in quella stessa situazione il mio interlocutore faticasse a credere alle mie parole?). Sì, mi risponde. La ditta ha chiuso, siamo rimasti a casa in sette. Io so fare l’imbianchino, il manovale. Ed altri mestieri ancora. Mi pare che il suo accento sia del Sud Italia. Mi sembra sincero. “In bocca al lupo” gli dico, dopo avergli dato, se la storia fosse vera, troppo poco. È vera? Non lo so.
Forse è meglio non fidarsi. Forse. Sento i politici, alla fine di una vuota campagna elettorale, parlare di tutto meno che di questo. La fiducia. La solidarietà. La povertà: se non di soldi, almeno di relazioni. Una comunità che esita, seppure a ragione, a dare la propria fiducia rischia di ridursi ad una somma di singoli che al più si sopportano.
Intanto aspetto. Aspetto che torni il fornaio il quale, avendo liberato il figlio chiuso in casa, mi potrà finalmente restituire il prestito. E con esso, la fiducia

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martedì 20 febbraio 2018

Retroscena: presento il mio libro, presento me



Mi si potrebbe chiedere come è andata. Sono ancora un po’ intontito, non so se sono in grado di spiegarmi. Però, a domanda secca non posso che rispondere “benissimo”. Un’esperienza unica, che mi ha ripagato di tutta l’ansia che ho provato quello stesso giorno e nei giorni precedenti. Un’ansia che, devo ammetterlo, non mi ha abbandonato nemmeno “durante”. Di fronte avevo familiari e amici, che avevano scelto di dedicare proprio a me il loro tempo, alla fine di una giornata per molti di lavoro, quindi stancante. Accanto a me, uno scrittore che pubblica abitualmente con Einaudi e Rizzoli, che ha incredibilmente accettato di fare da relatore all'incontro.

Riavvolgo il nastro a circa 20 minuti prima dell'inizio della presentazione del mio romanzo, "6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento". Parto dal mio ufficio in bicicletta, con lo scatolone pieno di copie del romanzo che sono riuscito ad incastrare nel seggiolino da bambino. Mentre pedalo per i 200 metri che mi separano dalla libreria, sento l’ansia montare e mi chiedo chi me l’abbia fatto fare. Ho paura, per varie ragioni. Il relatore è una persona disponibile e, già l’ho capito, generosa. Tuttavia, non l’ho ancora conosciuto personalmente. Gli ho solo stretto la mano in occasione della presentazione del suo, di libro.
Nelle scorse settimane ho inoltre collezionato una critica negativa che, nell'immediato, mi ha “smontato” parecchio. Ed un rifiuto motivato alla pubblicazione da parte di una piattaforma di e-commerce specializzata in e-book. Ora ho paura che i difetti del mio romanzo non possano che emergere in sede di presentazione pubblica.

Parcheggio la bici in uno spazio non troppo vicino alla libreria. Forse non sono io, pensa una parte di me, ad essere il protagonista dell'incontro. Prova ne è che parcheggio così distante! Non mi posso fermare, però. Afferro lo scatolone, prendo coraggio e mi dirigo verso l’ingresso della libreria. Entro, sentendomi un po’ un condannato. I librai mi accolgono con il sorriso, ma sono momentaneamente occupati. Non mi resta che aspettare, in silenzio.
Mi prende il terrore che non venga nessuno. “Nessuno” è impossibile: la mia famiglia è precettata, compresi mia madre e mio suocero. Qualcuno in più, però, non guasterebbe. E in effetti arriva. Poi esce. È un avventore della libreria. Visi familiari si palesano, finalmente. Il mio relatore si siede su una delle due poltrone a noi desinate. È per me un sollievo: mi siedo anch'io. Sono agitatissimo, lui gentilissimo cerca di rompere il ghiaccio. Intanto i minuti passano: ed il quarto d’ora accademico sta per concludersi.



Mentre parlo con il relatore, la coda del mio occhio destro cerca di cogliere l’eventuale afflusso di persone. Il timore di un flop in termini di pubblico è ancora forte. Anche su questo, è lui a rassicurarmi, ricordandomi l’ora difficile per chi lavora, che ne condiziona la puntualità. Ma arriveranno. Poi mi chiede con enorme delicatezza se vogliamo concordare le domande. Nonostante io sia in preda all'ansia, gli dico di no. La parte lucida della mia mente mi spinge a ricercare la massima spontaneità. Come spontaneo è stato il percorso che mi ha condotto qui, ora, in questa libreria.
A un certo punto, bisogna cominciare. Chi c’è c’è. Chi avrebbe mai pensato che un giorno uno scrittore avrebbe introdotto un libro scritto da me? Mentre lui parla sono ancora agitato, preoccupato per l’affluenza e, in più, incredulo per quanto mi sta capitando. L’introduzione è talmente perfetta che mi prende l’ansia di non esserne all'altezza. Alla prima domanda, mi vedo costretto a rompere l’illusione che si tratti solo di un sogno. E, a fatica, parlo. Poi il dialogo, improvvisato, si sviluppa con spontaneità. Rimango agitato per tutto il corso dell’intervista. Non ho l’esatta percezione del tempo che passa: ad un certo punto mi pare che stiamo sforando “di brutto”. Scoprirò a breve che non è così.



L’intervista accarezza anche il mio vissuto e porta in superficie aspetti di me che non credevo potessero emergere in questa sede. Non mi escono esattamente le parole che vorrei dire: ho quindi paura di non essere compreso. Ma per merito del relatore tutto fila liscio. C’è, poi, tempo per una domanda dal pubblico, come nelle migliori presentazioni. Alla fine, dopo parole bellissime pronunciate dal relatore, c’è anche l’applauso finale, che mi imbarazza non poco.

Foto di Andrea Gatti

Non è finita! Non manca il rito delle firme e delle dediche. Che imbarazzo!
Per fortuna, non riesco a fare battutine, che in questa situazione sarebbero di troppo. Mi limito a fare sorrisini ad occhi bassi intervallati da risatine di imbarazzo. Fatico ad attingere alla mia mente per scrivere dediche di senso compiuto.


È andata bene, tutti mi dicono. Comincio a crederci. Ci salutiamo, poi mi ritrovo di nuovo da solo, come ero venuto, con la mia bici parcheggiata a 10 metri. Si è fatto buio. Il viaggio di ritorno è una gimkana fra le emozioni. L’incredulità ancora domina la mia mente. Ho forse bisogno di un po’ di normalità per riprendermi. Voglio rivedere i miei figli rimasti a casa ed anche i miei gatti. Arrivo prima di tutti gli altri, grazie alla bici. I bimbi sono ancora dai vicini. Lampo mi chiede cibo, seguito a stretto giro da Stella. La normalità, ora. Domani riavvolgerò il nastro, serbato in un angolino del mio cuore.

La felicità è ancora inconsapevole: se davvero non ho sognato, domani potrò vestirla a festa. E crederci, per un tempo mai troppo lungo di liberazione dalle ansie quotidiane.


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martedì 13 febbraio 2018

Christian Stocchi recensisce 6sei66 sulla Gazzetta di Parma

La recensione del romanzo "6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento" firmata da Christian Stocchi sulla Gazzetta di Parma del 13 Febbraio 2018.

Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avrà luogo presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento


lunedì 12 febbraio 2018

Sogno o son scrittore?


Chi sono io, veramente? Cos'è per me la scrittura? Ho davvero qualcosa da trasmettere o sono, invece, solo in cerca dei 5 minuti di (relativa) celebrità? O in cerca di una rivalsa nei confronti di chi, in passato, mi ha sottovalutato? Una sfida con me stesso? Un modo per combattere la noia? Una vocazione tardiva?

La mia “professionalità” ufficiale, è, in effetti un’altra …

“Hai pagato la fiera, vero?”. “Entro ieri andava fatto”. “Non l’hai fatto?”. “Come non l’hai fatto?”. “Come dici?”. “Scrittore?”. “Hai detto s-c-r-i-t-t-o-r-e?”. “Una cosa tu dovevi fare, scrittore dei miei stivali: era semplice ed indispensabile. Ora sono nella m..da per colpa di un cog…ne che si crede uno scrittore…”. “…ma è c…ione e basta!”. “Solo co.l.o.e!”. “Co…one!”.

Mi risveglio sudato: sembrava reale, quanto è bello che non lo sia! In testa rimangono, però, le domande dell’incubo. Il libro che ho scritto: cosa riesce a dire di me? Tutti abbiamo qualcosa da dire, io credo. Non mi piace parlare di “morale” o di “verità”. Io vivo di dubbi e incertezze, e coltivo pazientemente le mie paure. Quali di queste paure ho cercato di far emergere, ed esorcizzare, con il mio romanzo?

Forse quella della morte. Poi la sfortuna. La solitudine. La paura di un mondo difficile per la generazione dei miei figli. La guerra. Gli atti terroristici. L’abbandono da parte della persona amata. La perdita della libertà.

Voglio forse trasmettere, oltre alle paure, anche motivi di speranza? O evidenze di progresso? O una lente di lettura “in positivo” della realtà? O un’idea “politica” sulla società del futuro?

La risposta è sì. Ma come esprimere questo mio messaggio positivo? Perché, ad esempio, decido di parlare di una specifica “generazione”, quella del ’66? La risposta è: forse per portare alla luce una comunanza, il legame anche casuale fra persone diverse che è giusto riscoprire per neutralizzare la paura della diversità.

Non è, però, la “mia” generazione: perché questa scelta? La risposta è: in parte per timidezza. In parte per creare un po’ di sano distacco nella narrazione (rischiando, di converso, la superficialità di chi descrive esperienze ed epoche non vissute o vissute poco consapevolmente). In parte perché, in Europa, la generazione dei Sessanta è quella che, forse, ha più visto cambiare il mondo. Soprattutto, ma non solo, in positivo. C’è chi è passato dall'assenza alla conquista della libertà. Chi ha superato una condizione iniziale di povertà. Chi ha affrontato ed è sopravvissuto a tempi difficili (terrorismo politico). Poi ci sono state altre svolte che hanno destato, alcune, speranza; altre preoccupazioni e paura.

L’Europa. Con tutti i suoi limiti, la costruzione di una unione fra Stati che si sono per secoli combattuti è per me entusiasmante. E i cinquantenni di oggi sono stati testimoni privilegiati di questo percorso, non privo di ambiguità e brusche frenate. Un cinquantenne nato a Berlino Est, ad esempio, ha vissuto la pacifica rivoluzione del Muro abbattuto e la riunificazione di un Paese sconfitto e diviso. Cambiamenti epocali!

Quella che racconto è una generazione che, forse per prima, ha sperimentato nei fatti una sorta di identità “europea” (Erasmus, Inter-Rail, ecc.) e che inoltre mi ha permesso, grazie ai suoi figli (protagonisti delle ultime pagine), di esprimere la mia fiducia nei giovani, a cui toccherà prendere in mano il futuro. Sento il dovere di coltivare speranza per i miei figli e poi per i figli dei miei figli. Nessuna rassegnazione mi è consentita. È mia, invece, la convinzione, di cui hanno avuto prova diretta i nati nei Sessanta, che le persone sono in grado di cambiare gli scenari e condizionare la storia.

“Belle parole, proprio belle …. parole di uno s-c-r-i-t-t-o-r-e che adesso, tuttavia, chiamerà subito l’organizzatore della fiera e, con parole convincenti come solo quelle di uno scrittore possono essere, si scuserà per il ritardo da scrittore ed otterrà una proroga per il pagamento della quota che lo stesso scrittore, travestito da cogl…e, non ha corrisposto per tempo”.

Non era un incubo, allora! È la paurosa realtà!

“Muoviti, c..lione!!”.  

Altro che scrittore …

Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avverrà presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento


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giovedì 8 febbraio 2018

Genesi di un romanzo: 6) Sono uno "scrittore per caso"?


Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avverrà presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento

Ciao sono Alberto, l'autore di 6sei66. Vuoi conoscermi meglio? Provo a farmi qualche domanda e a darmi qualche risposta. Inizio con: 

Sono io uno ... "scrittore per caso"?

(CONTINUA) … Comincio a dubitare delle mie ottimistiche aspettative. Ed anche a riprendere in considerazione un sano calcolo delle probabilità. Siamo un popolo di santi, navigatori e…poeti. Aggiungo: scrittori. Migliaia di persone, giovani e meno giovani, partecipano ai concorsi e tornei letterari. Sono tanti e lottano insieme a (anzi, contro di) me. Perché mai dovrei riuscire a surclassarli? L’idea di partenza del mio romanzo è originale, me l’hanno detto in molti. Ma è sufficiente? Lo sviluppo della storia soddisfa le aspettative suscitate dalla sinossi? Il puzzle congegnato rimane fissato, o rischia di sbriciolarsi appena si cerca di appenderlo al muro? (L’efficace metafora non è mia, ma di un severissimo recensore del mio libro). Ecco, questa è tutta un’altra storia, un altro livello di valutazione. Ottimisticamente, lo sviluppo può perlomeno piacere a qualcuno e non piacere ad altri.
Ancora due concorsi devono svelare il loro esito. Vediamo come va …. magari qualche recensore è rimasto colpito ed ha deciso di “sposare la mia causa”. Esce prima, a sorpresa, l’esito della grande casa editrice. Scorro l’elenco nel modo già descritto, con 50 sfumature di lettura per non lasciarmi sfuggire alcunché. Niente. Non ci sono. Ed è, ancora una volta, solo la prima fase. Come è possibile? Qualcosa nelle mie speranze si è già rotto prima di leggere questo elenco. Sto cominciando, in altre parole, a capire l’antifona.
All'ultimo tentativo, quello del concorso a fase regionale, mi appresto a togliermi la lente fiduciosa e vedo finalmente i numeri nella loro crudezza. Qui verrà selezionato addirittura un solo candidato per regione. Almeno non c’è da scorrere elenchi! “Emilia-Romagna”: non ci sono. È difficile la controprova, ma riesco ad affrontarla ugualmente: setaccio la pagina in ogni suo pixel. Inutile, ovviamente.
Mi scappa un mezzo sorriso. Forse sono davvero vaccinato. Mi sento un po’ Fantozzi, questo sì. Ma lo smalto di artista incompreso è venuto via del tutto. Mi guardo impietosamente allo specchio e vedo … uno scrittore per caso che dovrà, presumibilmente, abbandonare le sue aspettative di pubblicazione.
Non erano così ambiziose, le mie aspettative. Oddio, in effetti una parte di me sognava successi planetari e fama imperitura. Un’altra parte più pragmatica, però, si sarebbe “accontentata” di trovare una casa editrice, anche piccolissima, disposta a pubblicare il romanzo. E comunque, il meccanismo innestato ha comportato attese, suspense, piccole e grandi illusioni. Mi ritrovo dentro ad un percorso che, ancora, vorrei in qualche modo portare a termine

[CONTINUA] 
Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avverrà presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento


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martedì 6 febbraio 2018

La Politica in Mala Fede


Gentile Direttore,

nel Suo editoriale di domenica 21 Gennaio, Lei esprime apprezzamento per gli inviti del Presidente Mattarella ad andare a votare, “smontando” il luogo comune del politico ladro e inaffidabile e chiamando i cittadini elettori ad assumersi la propria responsabilità per il passato e, nelle urne il prossimo 4 Marzo, anche per il futuro.
Anch'io credo che, in sostanza, negli ultimi 30/40 anni noi Italiani ci siamo meritati la classe politica che ci ha governato. E andrò a votare, come ho sempre fatto alle elezioni politiche da quando ne ho facoltà. Tuttavia, secondo me il virus della “mala fede” ha, purtroppo, contaminato un’ampia fetta di establishment, condizionando le decisioni pubbliche e l’indipendenza dei media, ed accentuando quella perdita collettiva di memoria che è da molti riconosciuta come concausa del nostro declino.

Qui, a mio avviso, ci sono responsabilità precise, che i cittadini tendono purtroppo a non ricordare, di una classe dirigente e di gruppi di potere che hanno agito cinicamente per i loro esclusivi interessi.
Il Parlamento nel 2005 votò una nuova legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”, che mandava in soffitta il Mattarellum - con i suoi difetti ma anche con il pregio di avvicinare, attraverso i collegi uninominali che eleggevano il 75% dei parlamentari, gli elettori alle persone in carne ed ossa che li avrebbero rappresentati -, con l’esplicito scopo di condizionare in una certa direzione le elezioni del 2006. Da allora, il legame fra elettore ed eletto non ha più avuto alcuna rilevanza nelle urne, con candidati scelti dalle segreterie dei partiti ed inseriti in liste bloccate.
Da 12 anni i parlamentari sono “indicati” dai partiti e meritano il loro scranno grazie alla posizione in lista che è stata loro concessa “dall'alto” e, solo in minima parte, grazie al popolo italiano chiamato a votare unicamente per un partito e non più per una persona (le primarie sono state, per una sola parte politica, un tentativo non sempre riuscito di rimediare a questo distacco crescente).
Si è votato in questo modo nel 2006 – sulla base, lo ripeto, di una decisione presa in mala fede dalla maggioranza parlamentare di allora -, poi nel 2008 ed infine nel 2013.

Successivamente è stata la volta dell’“Italicum”, approvato dal Parlamento per la sola Camera (in vista dell’abolizione del Senato), con i capilista bloccati e la previsione del ballottaggio per “conoscere il nome del vincitore la sera stessa delle votazioni”. La mala fede della classe politica si rivela, anche oggi, nel racconto falso di una legge elettorale spazzata via dal referendum del 4 dicembre 2016. La verità è che il Parlamento ha approvato, come già fece con il Porcellum, una legge elettorale dichiarata poi incostituzionale dalla Consulta. Se non in mala fede, i parlamentari che hanno approvato l’Italicum hanno perlomeno dato prova di incompetenza! O no?
L’ultima legge elettorale, il Rosatellum-Bis, è stata presentata all'opinione pubblica come uno degli esiti del No prevalente al referendum. Non è così, come detto sopra. Gli Italiani non hanno votato, con il referendum, per un ritorno al proporzionale (solo un po’ corretto dal 25% di collegi uninominali, mentre nel Mattarellum erano il 75%!). È un racconto in mala fede, usato per avallare una legge elettorale che non colma la distanza fra elettori ed eletti e rende, nello stesso tempo, difficile la governabilità spingendo verso le larghe intese.

Ecco, in tutta questa storia, che i media raramente ricostruiscono nella sua interezza con la scusa che sarebbe troppo noiosa per i cittadini-spettatori, io vedo solo gravi responsabilità in capo alla classe politica. In 12 anni, questa non ha fatto nulla – neanche con l'Italicum il quale, lo ripeto per la terza volta, non è stato rifiutato dagli Italiani, semplicemente non era compatibile con il nostro ordinamento – per riavvicinarsi ai cittadini-elettori.
Noi Italiani abbiamo mediamente - è vero - poco senso civico e, di conseguenza, molte responsabilità nel destino incerto del nostro Paese. Tuttavia, fino a quando non sarà ripristinato il corretto rapporto democratico di selezione e controllo dell’elettore nei confronti dell’eletto, i cittadini – anche quelli che si astengono – potranno legittimamente considerarsi innocenti di fronte all'immobilismo ed alla scarsa efficienza delle istituzioni pubbliche.

(Lettera al Direttore inviata il 21 Gennaio 2018 alla Gazzetta di Parma, ma non pubblicata)

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lunedì 5 febbraio 2018

Genesi di un romanzo: 5) Sono io pronto a vincere un...torneo?



Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avverrà presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento

Ciao sono Alberto, l'autore di 6sei66. Vuoi conoscermi meglio? Provo a farmi qualche domanda e a darmi qualche risposta. Inizio con: 

Sono io pronto a vincere un...torneo?

(CONTINUA) ….Stavolta ce la farò. Cambio strategia, però, rispetto al primo invio massivo del manoscritto alle case editrici. Come ho potuto pensare, mi ripeto, che l’Einaudi mi prendesse in considerazione? Solo perché ho respirato, a Santo Stefano Belbo, la stessa aria di Cesare Pavese? Solo perché ho studiato, con esiti neanche brillanti, nel medesimo liceo frequentato da Beppe Fenoglio?
No, non è questa la strada. Devo fare un percorso da principiante, da esordiente. Decido così di setacciare tutti i bandi di concorso già pubblicati o che saranno pubblicati a breve. Non mi accorgo subito di una contraddizione probabilistica insita nel mio ragionamento, e mi rimetto in moto con la mia gioiosa macchina da guerra. Decido di partecipare al concorso indetto da una nota azienda radiotelevisiva pubblica, approfittando del fatto che è l’ultima edizione a cui, per motivi di età, posso ancora partecipare. Allo scoccare dei 40 anni sarò, infatti, fuori dalla categoria “giovani”, unica ammessa al concorso. La selezione è innanzitutto effettuata da commissioni regionali, che sceglieranno il loro testo migliore il quale si andrà a scontrare, in una seconda fase, con i migliori delle altre regioni.
Non so da dove mi derivi, ma coltivo la speranza di superare la prima fase. Cioè, mi metto in testa che sia probabile, a prescindere dal numero di candidati, che la scelta dei commissari regionali cada su di me. Una valutazione simile riservo ad altri due concorsi nazionali, indetti da grandi case editrici. Uno dei due è il torneo a cui ho già partecipato e che mi ha visto eliminato già prima delle semifinali. Ora, però, ho fatto corpose modifiche al testo iniziale. Ora è diverso. Mi sento “umile” per aver provato a recepire critiche e suggerimenti. In questa fase, sono così fiducioso di essere notato almeno in un caso che mollo un po’ la presa sulle case editrici. In realtà, a quelle che accettano la versione digitale decido di inviare la nuova edizione del mio romanzo. Non ripeto, invece, gli invii cartacei.
La primavera intanto sboccia e dona luce alle mie ingenue speranze. Anche lontano dalle date previste di pubblicazione dei risultati, passo spesso sulle pagine e sui siti dedicati ai concorsi, caso mai decidessero di anticipare il verdetto. Si affaccia, man mano, anche la paura. Limito le aspettative al superamento della prima fase, in almeno uno dei concorsi per esordienti a cui mi sono candidato. È il momento della pubblicazione dei risultati del torneo. La scoperta della sorte della mia opera avviene in un modo che si ripeterà spesso.
Esce la notizia dei risultati, la suspense mi prende e freno i miei click. Con molta calma apro la notizia, ne leggo l’introduzione e poi vedo l’elenco in ordine alfabetico delle opere che passano il turno. Il mio sguardo indugia lontano dall'iniziale del mio libro. Che essendo un numero, dovrebbe comportare la presenza ai primi posti, in alto. Non c’è. Siamo poi sicuri che il numero ne determini la collocazione in alto? Magari c’è una sezione speciale, in fondo, dedicata alle iniziali in forma di numero. Niente neanche in fondo. A questo punto, urge lo scorrimento dell’elenco. Magari si è inteso utilizzare la dizione in lettere del numero che rappresenta l’iniziale del titolo. Un po’ cervellotico, ma potrebbe essere. È rapido verificare che sotto la “s” di “sei” non c’è il mio libro. Uno per uno, rifaccio il controllo dei titoli di tutte le opere finaliste. Niente. Non c’è.
La suspense lascia spazio ad una delusione tanto forte quanto elevate erano (forse illogicamente) le aspettative. Andrò ancora, nei giorni successivi, a controllare l’elenco sperando in una iniziale omissione a cui gli organizzatori debbano porre rimedio, magari con un bel “errata corrige”. Ma è inutile, tutte le posizioni dell’elenco in cui potrebbe collocarsi il mio libro si rifiutano di citarlo. Di nuovo, il mio vittimismo di artista incompreso prende quota, poi si sgonfia lasciando spazio alla rassegnazione ed alla sfiducia. Il morale è salvato dall'attesa degli esiti degli altri due concorsi, non ancora resi pubblici. L’avventura continua. Finché c’è competizione, posso ancora giocarmela. Così penso…


[CONTINUA] 
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martedì 30 gennaio 2018

Genesi di un romanzo: 4) Rimetterci mano?



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Rimetterci mano?

(CONTINUA) ….Ripongo nel cassetto il mio romanzo per un numero di settimane, forse mesi, che non ricordo con precisione. L’idea di rimetterci pesantemente mano quasi mi disgusta. La sindrome dell’artista incompreso mi spinge, piuttosto, a considerare chiusa la mia esperienza di scrittore. In quale direzione, poi, dovrei intervenire? In quali punti della storia dovrei affondare il bisturi? Altro tempo da sacrificare ad un esito del tutto incerto!
Certo che …. tenere nel cassetto qualcosa a cui ho dedicato tanto lavoro … mi irrita non poco. Una possibile soluzione mi arriva da una rivista che dedica un articolo alle cosiddette “agenzie letterarie” che accompagnano gli scrittori esordienti a realizzare un prodotto accettabile per le case editrici. Ne individuo una fra quelle citate nella rivista ed invio una mail per chiedere informazioni. Ricevo presto una risposta e decido di sottoporre, a pagamento, la mia opera all’attenzione dei miei nuovi interlocutori. Mi arriva, qualche tempo dopo, una scheda che analizza il romanzo, con l’invito a parlarne al telefono. La telefonata è cordiale ed informale, ma individua sbocchi quasi nulli a meno di una radicale revisione, prospettata già nel report scritto. Pur avendo molti contatti nel mondo dell’editoria, mi sembra chiaro che l’agenzia non ritenga opportuno “spendersi” per il mio libro.
Si chiude, così, questo rapporto “occasionale” con una postilla: se provi a riscrivere un capitolo secondo le indicazioni del report e poi me lo inoltri, posso darti un feedback sull’opportunità di continuare in questa direzione. Così mi viene detto. Metto, quindi, le mani sul capitolo che ha come protagonista il danese Gustav a metà degli anni Ottanta.
Comprendo subito che non sarà una cosa facile. Ma ci provo. È faticoso e, all’inizio, è un lavoro che non mi entusiasma. Mi pare, tuttavia, di trovare man mano una “chiave” di modifica e nuova interpretazione del testo, che alla fine mi soddisfa abbastanza. Invio il nuovo capitolo aggiornato all’agenzia. Non riceverò mai una risposta, associando questo atteggiamento ad una sostanziale risposta negativa. “Non sei riuscito a migliorarti, lascia perdere” è come se mi fosse stato detto con la voce del silenzio.
Un’altra delusione, seguita da un altro periodo in cui sto “fermo”. Ancora una volta, non ricordo il tempo preciso di questo altro blocco. Ad un certo punto, però, riparto. Forse è lo stimolo dei concorsi letterari, a scrollarmi. In fondo un capitolo l’ho già rivoluzionato: potrei fare altrettanto con tutti i restanti capitoli. Più dialoghi, meno testi didascalici. È difficile “allungare” le scene per renderle più vive. Spesso capita che l’allungamento avvenga, ma che la scena non sia affatto più viva, anzi faccia sbadigliare dalla noia. È ancora più frustrante tagliare frasi, periodi, a volte interi paragrafi: mi pare di buttar via del cibo. Ma lo devo fare, mi convinco. Dopo un lavoro esteso e faticoso, più o meno incisivo a seconda dei personaggi, delle situazioni e delle specifiche ambientazioni, partorisco di nuovo la mia opera, che rinasce a nuova vita….

[CONTINUA] 
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Genesi di un romanzo: 3) Chi credo di essere, Manzoni?


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Chi credo di essere, Manzoni?

(CONTINUA) Avendo terminato di trasferire il testo dal quaderno al supporto digitale, ancora gasatissimo per i complimenti dei familiari, comincio ad inviarlo in pdf alle case editrici. Ma non a quelle di provincia, o cosiddette minori. Punto subito in alto, ai templi della narrativa e del giornalismo, che pubblicano tanto i classici più blasonati quanto gli ultimi talenti alla moda. Sì, poi, a calare, invio anche alle "minori". Alcune chiedono il cartaceo e l'invio per posta ordinaria. Alle Poste cominciano a riconoscermi. Intanto passano le settimane, poi i mesi. Ma niente. Le mie certezze cominciano a vacillare.
Presa definitivamente consapevolezza della scarsa probabilità di ricevere risposte, mi tuffo nei concorsi letterari per esordienti, che prima avevo snobbato. Anche in questo caso, i tempi di valutazione sono interminabili. Per un concorso, è prevista una fase di lettura degli incipit estesa a tutti i partecipanti: me ne ritrovo da leggere e valutare dieci, scritti da miei “concorrenti” anonimi. Pena la non ammissione alle fasi successive. È un’esperienza interessante, quella del recensore per caso, di cui parlerò.
Intanto comincio a ricevere qualche risposta, anche positiva. Ma si tratta di sole case editrici “a pagamento”, che cioè impongono allo scrittore contraente di acquistare un numero minimo di copie e, comunque, si tratta di editor quasi sconosciuti. “Ce la devo fare da solo” continuo a ripetermi. E puntare ad una casa editrice conosciuta oppure, per lo meno, a vincere un concorso. Facile.
Dopo mesi di mancate risposte, arriva il giorno della pubblicazione dei nomi degli scrittori che accedono alla fase successiva del particolare torneo che vede i candidati giudicarsi a vicenda. Chi “passa” deve quindi ringraziare i suoi diretti concorrenti. Do per scontato di superare la prova. Non la supero. E scopro anche le motivazioni: sono infatti accessibili i commenti anonimi dei 10 valutatori del mio incipit. È una doccia fredda. Alcune recensioni mi fanno arrabbiare, altre sono sensate e, alla fine, condivisibili. In generale, è un salutare bagno di umiltà. A questo punto, mi fermo e decido di non mandare più il mio ammaccato romanzo ad alcun editor fino a quando non l’avrò “riparato”. Ma occorre cercare un buon meccanico…

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Genesi di un romanzo: 2) Perché proprio a matita? E dove pensavo di arrivare?


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Perché proprio a matita? E dove pensavo di arrivare?

(CONTINUA) Riscrivere un libro in formato digitale, copiandolo dal quaderno consumato di segni e parole a matita che capisco solo io (a volte neanche io), non è un’attività entusiasmante. Ti chiedi mille volte “perché, povero id…ta, non hai scritto subito tutto su word?”. Perché? Non lo so con precisione. Forse è stata la voglia di tornare a scrivere a mano, dopo anni di battute forsennate sulla tastiera. Un desiderio connaturato, in me, alla stessa idea di scrivere una storia. Anche ora, che racconto la genesi del romanzo, mi ritrovo a scrivere a mano prima di ricopiare il testo sui social.
Non è solo la scrittura a mano che cerco. C’è anche lo scrivere a matita e non a biro. Mi sembra, così, un lavoro più “artigianale” perché modificabile o addirittura cancellabile del tutto. Del tutto no, in realtà. Rimane sempre il residuo di ciò che è stato cancellato: un segno sbiadito, una storia, una evoluzione, un consumo di intelletto e di carta.
È lunga la procedura di videoscrittura di un intero libro. Alcuni errori sono corretti dal programma in automatico, altri no. La rilettura consente, però, nuove aperture, nuove suggestioni. E questo è bene. Scrivi e riscrivi, il libro assume ad un certo punto una inedita unitarietà, seppur ancora provvisoria. Questo è un momento felice, che in parte ti ripaga della fatica e, diciamolo pure, della noia talvolta sofferta. L’illusione un po’ infantile che mi prende, dopo la supposta “fine lavori”, è che l’opera letteraria sia davvero pronta. Un po’ troppo corta, forse. Ma mi dico che sono semplicemente sintetico: è il mio stile. Ora non la voglio più toccare, deve per forza andare bene così.
In questo modo, però, sfioro l’ottusità! Me ne rendo conto, e mi prende la reazione opposta. Depressione. Come ho potuto solo pensare di scrivere un libro, io che al liceo era tanto se prendevo 6 e mezzo di tema? Mi apro allora alla famiglia. Faccio leggere il testo a persone che mi vogliono bene. I commenti sono molto positivi, con alcuni suggerimenti che subito cerco di utilizzare.
Mi piace vincere facile: è la mia famiglia. Cosa mi aspettavo, che mi stroncasse? Sorella con tre lauree, lettrice accanita da sempre, mi dice “scopro di avere un fratello scrittore!”. Mi “gaso” non poco, e dopo aver fatto le modifiche suggerite inizio a tamburo battente la campagna di diffusione.
Un po’ snobbo, all’inizio, i concorsi letterari per esordienti. Vado diritto alle case editrici. Vuoi che la Mondadori, vedendosi recapitare il mio romanzo, non lo pubblichi subito ricoprendomi di guadagni? I tempi previsti da grandi e piccoli editor sono però…lunghissimi! Si va dai 3 mesi (ma è raro) ai 6 mesi (più frequente) fino ai 9 mesi. Un vero e proprio parto! Mi metto in questa testolina partita per la tangente che per me faranno un’eccezione. Figurarsi se impiegheranno sei mesi per rispondermi, ovviamente positivamente.
Forse avrete già intuito che sto andando incontro ad un….30 a zero? Magari 25? No, più probabilmente 40 a zero…

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Genesi di un romanzo: 1) Quando ho iniziato a scrivere?

Fonte: www.grandefabbricadelleparole.it

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Quando ho iniziato a scrivere?

Non molti anni fa ... O meglio: da ragazzo non scrivevo molto. Non si usava ancora Internet, quando frequentavo le scuole medie: eravamo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. A metà dei Novanta mi sono diplomato ed ho iniziato l'Università, lontano da casa. Ho cominciato a scrivere lettere a compagne di liceo: proprio lettere di carta (ora mi sembra impossibile, a ripensarci!), dove provavo ad esprimermi come non riuscivo a fare di persona. Parlando di amicizia, sentimenti, speranze, delusioni. Forse è stata questa la spinta: ovviare alla timidezza per farmi conoscere più in profondità dalle persone.
Verso la fine dei Novanta, ho sperimentato le lettere d'amore. Internet e la posta elettronica si stavano diffondendo, ma la carta era ancora così...romantica! Negli anni zero le e-mail mi hanno conquistato: ho cominciato a riversare le mie parole sullo schermo, per spiegare, ringraziare, ricordare, esprimere stima e affetto, litigare...
Negli anni Dieci ho coltivato, lentamente, l'idea di scrivere un libro. Ho cominciato nel 2013, in coincidenza con la perdita del lavoro ed i tentativi di trovarne un altro. Mi sono messo a scrivere su un quaderno, a matita. Quasi una ribellione alla dittatura del PC. L'idea si è sviluppata man mano, nelle pause pranzo in libreria, nei parchi mentre avanzava la bella stagione, sul terrazzo di casa nelle serate tardo-primaverili. Tutto un romanzo scritto a mano, avviato, poi abbandonato in mancanza di ispirazione, poi ripreso, poi di nuovo abbandonato, poi ripreso....A volte ero un fiume in piena di parole e riempivo tante pagine in poco tempo, altre volte stavo interminabili minuti su una stessa frase...
Non è stato facile, ma è stato bello costruire una storia. Poi ho cominciato ad aver voglia di condividerla....ed è iniziata la fase, forse ancora più pesante, della riscrittura su supporto informatico....

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venerdì 19 gennaio 2018

A San Valentino passa in libreria ... alla presentazione di 6sei66!

Fonte: lafeltrinelli.it
Fonte: lafeltrinelli.it

Non mancare, il giorno di San Valentino, 14 Febbraio 2018 alle ore 18:00, alla presentazione del romanzo "6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento"! L'incontro si terrà alla Libreria Voltapagina a Parma e vedrà la partecipazione come relatore del dott. Christian Stocchi.

6sei66 racconta le storie di quattro europei nati lo stesso giorno, appunto il 6 Giugno 1966. Persone immaginarie che, nella realtà, avrebbero ora poco più di 50 anni. Un periodo, l'ultimo cinquantennio, segnato da profondi cambiamenti in Europa e nel mondo. Delle vite dei protagonisti, sono proposti fotogrammi scattati in ogni decennio a partire dai Sessanta fino agli Anni Dieci. Quattro storie destinate ad incontrarsi e a "riconoscersi" anche grazie ai figli, rappresentanti di una generazione - quella dei Millennials - che ha davanti a sé grandi incertezze e grandi speranze...

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mercoledì 17 gennaio 2018

Ti vedo crescere...da dietro la porta a vetri

Fonte: Corriere Fiorentino


Gradino dopo gradino. Si cresce impercettibilmente giorno per giorno. Un bambino di quasi 6 anni inizia la prima elementare. Lo accompagnano la mamma ed il papà, fino all'ingresso della classe. Con lo zaino già pesante, la giacca ancora leggera di un settembre ogni anno più estivo.

Poi la mamma, passando i giorni, riesce a lasciare suo figlio nell'atrio della scuola, concedendogli solo una piccola agevolazione. Gli toglie di dosso la giacchina, poi gli sistema lo zaino sulle spalle ed infine gli consegna la giacchina fra le braccia. Così il bambino potrà velocizzare il suo ingresso in classe. Il papà, intanto, è già corso verso la porta a vetri chiusa, situata a lato della scuola, che regala proprio la visuale del corridoio e dell’uscio che il figlio dovrà oltrepassare per entrare in aula. Così potrà controllarlo fino a quando non sarà entrato in classe. Dopo pochi minuti, la mamma raggiunge il papà nel luogo adibito allo spionaggio.

Il piccolo, dietro lo schermo trasparente e insuperabile, deve affrontare un problema serio e potenzialmente imbarazzante. Non ci arriva. Dicevo che non ha ancora sei anni. E non ci arriva. Non arriva al gancio. Quello a cui deve appendere il giacchino. Un saltino timido. Niente. Un altro meno timido. Ancora niente. Il giacchino si lascia scivolare a terra. Il papà da fuori fa il tifo per il suo bambino. Ma al terzo saltino, frutto di uno sforzo marcato ma che non porta al risultato sperato, lui non resiste. Si precipita nell’atrio della scuola, si giustifica con la bidella accigliata adducendo una dimenticanza importante, poi raggiunge il piccolo, lo consola, gli prende il giacchino e lo fissa al gancio. “Vai pure ora, amore mio” gli dice, poi esce e rassicura anche la mamma.

Nei giorni in cui tocca a lui, il papà tende a trasgredire la “regola” che imporrebbe una progressiva autonomia in capo al fanciullo e lo accompagna ancora fino all’uscio della classe. Dopo alcuni richiami dalle bidelle, il padre prova di nuovo ad alzare la campana di vetro. Continua a togliere al bimbo la sua giacchina e a dargliela fra le mani, ma lo lascia nell’atrio e poi corre al punto di spionaggio per controllare che vada tutto a buon fine. Il gancio è alla stessa altezza di sempre. Il bimbo fa un saltino. Niente. Ne fa un altro. Ancora mancato. Una mamma generosa, che si trova incredibilmente là dove lui non può più andare, aiuta il piccolo evitandogli il terzo, rischioso tentativo. Anche per questa volta, il papà in ansia tira un sospiro di sollievo.

Passando i giorni, la giacca si fa man mano più pesante al procedere dell’autunno. Compaiono, a complicare lo scenario, anche una sciarpa, un berretto e pure un paio di guanti. Il papà continua a ritardare impunemente l’emancipazione del figlio. Lo accompagna ancora fino all’atrio e lo aiuta a togliere la giacca, la sciarpa, i guanti ed il berretto e ad inserirli in tasche, taschini e maniche. Poi gli mette a spalla lo zaino e gli consegna tutto il guardaroba fra le braccia. Infine il saluto e l’implicito “in bocca al pupo” alla creatura perché porti a termine la missione di appoggio del copricapo al maledetto gancio. Di corsa alla porta a vetri, chiusa sigillata come sempre. Il bimbo raggiunge il gancio e, per la voglia di fare in fretta, comincia a saltare senza essersi tolto lo zaino. Pesante. Il salto – già insidioso - è così reso 100 volte più difficoltoso. Di là dal vetro, il padre fa il tifo ma è difficilmente udibile nella confusione generale. Autonomia. Responsabilità. Il bimbo si accorge del problema. Si toglie lo zaino. Poi salta. Una volta, due, tre. Alla quarta o quinta volta, il cappuccio della giacca si fissa, finalmente. Il papà attende qualche frazione di secondo, timoroso di un qualche improbabile alito di vento o di un più probabile effetto corsa-di-bambini-urlanti che possa far crollare il castello. Non accade. L’adulto "fa la ola", di là dal vetro. Il piccolo è moderatamente e sobriamente soddisfatto, e si avvia con passo professionale verso il suo banco.

La strada è ancora lunga. I salti a vuoto sono ancora tanti. Sempre meno, però. Il bimbo, intanto, non ha più voluto che gli si togliesse il piumino già nell’atrio. “Me lo toglierò io, papà”. Vuole fare tutto da solo, l’ometto! L’adulto ancora presidia la corretta attuazione della procedura denominata “appoggio guardaroba”. Sempre dalla porta finestra. A tifare per lui. Con il passare delle settimane, i centimetri di altezza sono probabilmente aumentati, ed è più semplice il fissaggio al gancio.

Stamattina, però, il gancio a cui il bimbo solitamente appoggia il piumino è già occupato. Il papà “annusa” il lunedì mattina nella anomala indecisione di suo figlio, altre volte più coraggioso. “Come faccio ora?” sembra chiedersi il piccolo. Basterebbe trovare un altro gancio. No, non basterebbe. La giacca abusiva ha, infatti, coperto la borsina che contiene le sue scarpe da ginnastica. Urge, quindi, - volendo legittimare l’abuso per non sollevare discussioni - uno spostamento massivo del suo guardaroba ad altro gancio, non prima di avere provvisoriamente sganciato e poi riagganciato il copricapo (non più) intruso. Operazione complessa, particolarmente di lunedì mattina. Il papà vede, di nuovo, l’imbarazzo negli occhi del figlio che, rimanendo vestito, si ricorda della presenza del genitore e si avvicina alla porta a vetri. Gli rivolge qualche parolina preoccupata, che l’adulto non comprende. Ma che può immaginare.

In un mondo di ganci occupati, il bimbo ha più che mai bisogno del suo papà. Il quale scandisce “arrivo” e si precipita, ancora un volta, verso l’atrio della scuola. In un provvidenziale momento di distrazione della bidella, è agevole ricorrere al mimetismo per oltrepassare una terra proibita a chi ha più di 11 anni. Il papà arriva a destinazione e risolve la problematicità, evitando così ulteriori imbarazzi alla sua creatura e spingendola rassicurata in classe.

“Quando si ha un figlio, non si finisce mai di fare il papà” pensa l’adulto mentre percorre il corridoio con la più sfacciata noncuranza che riesce ad esprimere. Ci sarà sempre, lui, a fare il tifo per il suo piccolino che sale uno dopo l’altro i gradini della vita.
Quasi si commuoverebbe, a questo punto, se non fosse per un pensiero che si insinua nella sua mente. Un pensiero solo un po’ più pratico rispetto alle suddette riflessioni sulla vita e la crescita.

“Ma dico io” si domanda il premuroso papà “un mini sgabello IKEA …non era pensabile metterlo a disposizione degli  alunni più piccoli per evitare tutta questa ... filosofia??”.

Un lieve sorriso movimenta le sue labbra. La bidella è lì che lo squadra. “Ma che avrà da ridere questo tipo?” potrebbe benissimo chiedersi. Meglio tornare nel mondo degli adulti.
Domani, però, alla stessa ora sarà di nuovo lì. Dietro la porta a vetri.
Sgabello IKEA

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Insegnanti: una centralità da riscoprire

Lavagna elettronica a scuola
Lavagna elettronica a scuola

L’editoriale di Patrizia Ginepri del 10 Gennaio racconta, attraverso la testimonianza di una insegnante, la condizione di timore diffuso in cui vivono i docenti a causa della rottura del patto fra scuola e famiglia.
Vorrei aggiungere qualche appunto, che traggo dalla mia esperienza (ormai abbastanza lontana) di ex alunno/studente e da quella, più recente, di genitore. È vero: gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo di una comunità. Un ruolo, tuttavia, spesso sottovalutato, ignorato e mortificato da una società smarrita ed egoista e dalle stesse istituzioni che dovrebbero difenderlo e tutelarlo. Vado oltre: secondo me la scuola ha una funzione più importante della stessa famiglia perché ha il dovere di offrire a tutti, soprattutto a chi parte da condizioni di svantaggio (economico, culturale, familiare appunto) l’opportunità di emanciparsi ed emergere per i suoi meriti.
Questa missione è, tuttavia, ostacolata da un senso etico che, in vasti settori della società, è a dir poco annacquato e di cui l’irresponsabilità della “politica” è un effetto più che una causa. Temo che il mestiere di insegnante in Italia non sia immune da questa amoralità di sistema.
Provoco: siamo sicuri che lo scarso riconoscimento (economico, istituzionale, morale) del ruolo non sia, in molti casi, un alibi per non aggiornarsi, non formarsi, non aprirsi al nuovo?
Quanti insegnanti utilizzano la lavagna ed il registro elettronici?
Quanti partecipano (anche senza bonus) ai corsi di aggiornamento, sempre più necessari in un mondo in continua evoluzione? Quanti riconoscono davvero le “diversità” all’interno di una classe: tutte le culture, tutte le sensibilità che – oggi più di ieri – possono essere valorizzate come straordinario laboratorio di integrazione per la società di domani?
Siamo sicuri che tutti gli insegnanti siano davvero consapevoli, oltre che delle difficoltà e del sacrificio che viene loro richiesto, anche del loro ruolo cruciale in una società che cambia?
Si aggiornano proprio tutti sulle nuove tecnologie dell’informazione, capaci come mai prima d’ora di valorizzare le intelligenze di tutti (compresi, ad esempio, i bambini dislessici)?
Si sforzano davvero, pur in un contesto problematico, di cogliere le enormi opportunità dei nostri tempi?
La “paura” della maestra “Maria”, e di molti altri docenti, mi pone qualche dubbio al riguardo. Una paura che porta a soffermarsi sul “dito” – con la vulgata generalizzata della maleducazione ora imperante e su quanto si stesse meglio ai tempi in cui la disciplina era rispettata – senza vedere la “luna”, una bella luna. Ovvero il futuro della nostra società che gli insegnanti hanno il privilegio di cogliere in anteprima assoluta nelle loro classi.
Così torniamo al loro ruolo, tanto cruciale da richiedere passione, apertura incondizionata al nuovo e desiderio di aggiornarsi senza ritenersi mai appagati di apprendere. E soprattutto senza avere paura.

(Lettera al direttore pubblicata sulla Gazzetta di Parma del 12 Gennaio 2018)

lunedì 15 gennaio 2018

Come siamo tornati indietro: la realtà dietro una statistica sul reddito




L'editoriale di Aldo Tagliaferro del 4 Gennaio scorso elenca efficacemente ed impietosamente i problemi strutturali del nostro Paese che, pur in un contesto internazionale di ripresa, ci inchiodano all’ultimo posto nelle performance di crescita. Debito pubblico esorbitante, burocrazia inefficiente, incapacità di cogliere le opportunità del QE. Un dato, fra quelli esposti, mi colpisce: un reddito pro-capite inferiore al livello del 2007

Undici anni fa. Riavvolgo il nastro. Per la verità, allora non mi sentivo “in ripresa”, eppure la grande crisi non era ancora scoppiata. Oggettivamente, avevo un po’ più di soldi da spendere: mi ero appena sposato ed ero ancora senza figli. A ripensarci, le prospettive di allora, pur insufficienti, erano migliori di quelle attuali. Ad esempio, mi permisi un viaggio a Stoccolma in hotel a 4 stelle. Mai avuto un contratto a tempo indeterminato: tuttavia, allora progettavo il futuro con relativo ottimismo. Per lavoro, aiutavo le persone ad avviare la loro impresa. Non necessariamente una “startup innovativa”. Era ancora possibile ottenere incentivi per aprire un centro estetico. Adesso, per ottenerli, bisogna almeno sapere di nanoparticelle o realtà aumentata! L’insensatezza burocratica era uguale: direi, per la verità, che i servizi pubblici sono addirittura peggiorati. Le Poste non fanno più le Poste. I treni regionali sono gli stessi di allora (ma invecchiati di 10 anni), come i loro ritardi. Si è investito sulle Frecce, che coprono bisogni tutto sommato marginali della popolazione: in un Paese civile è invece indispensabile che siano efficienti i servizi per i pendolari. 

Ricordo una trasferta a Trento, in quel 2007, per il Festival dell’Economia. Parlava anche Prodi, allora premier agli sgoccioli. Di fronte alla protesta di un gruppo di attivisti NIMBY fuori contesto, lui lasciò che salissero sul palco e li ascoltò. Poi, però, tirò diritto con la sua relazione, come se niente fosse. Non ricordo con precisione lo specifico tema NIMBY (l’aeroporto militare USA di Aviano?), ma ricordo che apprezzai la caparbietà di Prodi nel voler “stare sul pezzo”, senza lisciare il pelo a proteste magari giuste ma intempestive. Tirare dritto non vuol dire non ascoltare. 

Credo che negli ultimi 10 anni sia mancata proprio la capacità di ascoltare davvero. E quindi di decidere davvero per il bene di tutti.  

Alberto Cardino