mercoledì 28 febbraio 2018

Fiducia e povertà


Può essere che non fosse la verità. È lecito non dare fiducia a chi non si conosce. L’ho imparato addirittura io, che pochi anni fa arrivai a credere ad un uomo che mi chiedeva i soldi per andare in taxi a recuperare delle chiavi fuori città per aprire la porta a suo figlio, rimasto chiuso in casa. Una storia inverosimile, che non mi impedì di aiutarlo: ancora aspetto che il sedicente fornaio (così si era qualificato) torni a restituirmi il prestito.
Oggi in pausa pranzo sto passeggiando in via Farini, quando vengo fermato da un uomo in condizioni molto decorose che mi chiede di ascoltarlo: ha perso il lavoro e avrebbe bisogno di poco denaro per mangiare qualcosa di caldo. Io ascolto, ma rispondo - mentendo - di non avere denaro. Poi torno a passeggiare, ma continuo a pensare a quell’uomo. Avrà avuto la mia età. La barba ingrigita era curata. Sembrava italiano. Fa freddo, freddissimo. Avrò poi fatto bene a comportarmi così? Non fidarsi è meglio, mi ripeto. Probabilmente quell’uomo non è chi dice di essere. E i miei soldi sarebbero stati destinati ad altro che ad una reale necessità primaria. Però fa così freddo. E quel ragazzo potrei essere io. Se mi trovassi io, nella situazione da lui accennata? E se non avessi altre fonti parentali a cui attingere? È proprio così distante da me un simile scenario? Sempre che, beninteso, mi sia stata detta la verità.
Ci vuole coraggio a mostrare la propria povertà. Ad andare incontro alla sfiducia, al rifiuto delle persone a cui chiedi aiuto. Se fosse tutto vero? Decido di fermarmi. Forse è ancora in giro nelle vicinanze. Tiro fuori del denaro, non molto, dal mio portafoglio. Guardo indietro, ritorno all’imbocco della via. Non sono sicuro sul da farsi, ma vorrei parlargli, guardarlo negli occhi mentre mi risponde. Finalmente lo rivedo e gli faccio cenno di avvicinarsi a me. Ora mi sembra più magro rispetto alla prima impressione. Gli chiedo se è vero che ha perso il lavoro (come mi sentirei io nei suoi panni? Ovvero se in quella stessa situazione il mio interlocutore faticasse a credere alle mie parole?). Sì, mi risponde. La ditta ha chiuso, siamo rimasti a casa in sette. Io so fare l’imbianchino, il manovale. Ed altri mestieri ancora. Mi pare che il suo accento sia del Sud Italia. Mi sembra sincero. “In bocca al lupo” gli dico, dopo avergli dato, se la storia fosse vera, troppo poco. È vera? Non lo so.
Forse è meglio non fidarsi. Forse. Sento i politici, alla fine di una vuota campagna elettorale, parlare di tutto meno che di questo. La fiducia. La solidarietà. La povertà: se non di soldi, almeno di relazioni. Una comunità che esita, seppure a ragione, a dare la propria fiducia rischia di ridursi ad una somma di singoli che al più si sopportano.
Intanto aspetto. Aspetto che torni il fornaio il quale, avendo liberato il figlio chiuso in casa, mi potrà finalmente restituire il prestito. E con esso, la fiducia

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martedì 20 febbraio 2018

Retroscena: presento il mio libro, presento me



Mi si potrebbe chiedere come è andata. Sono ancora un po’ intontito, non so se sono in grado di spiegarmi. Però, a domanda secca non posso che rispondere “benissimo”. Un’esperienza unica, che mi ha ripagato di tutta l’ansia che ho provato quello stesso giorno e nei giorni precedenti. Un’ansia che, devo ammetterlo, non mi ha abbandonato nemmeno “durante”. Di fronte avevo familiari e amici, che avevano scelto di dedicare proprio a me il loro tempo, alla fine di una giornata per molti di lavoro, quindi stancante. Accanto a me, uno scrittore che pubblica abitualmente con Einaudi e Rizzoli, che ha incredibilmente accettato di fare da relatore all'incontro.

Riavvolgo il nastro a circa 20 minuti prima dell'inizio della presentazione del mio romanzo, "6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento". Parto dal mio ufficio in bicicletta, con lo scatolone pieno di copie del romanzo che sono riuscito ad incastrare nel seggiolino da bambino. Mentre pedalo per i 200 metri che mi separano dalla libreria, sento l’ansia montare e mi chiedo chi me l’abbia fatto fare. Ho paura, per varie ragioni. Il relatore è una persona disponibile e, già l’ho capito, generosa. Tuttavia, non l’ho ancora conosciuto personalmente. Gli ho solo stretto la mano in occasione della presentazione del suo, di libro.
Nelle scorse settimane ho inoltre collezionato una critica negativa che, nell'immediato, mi ha “smontato” parecchio. Ed un rifiuto motivato alla pubblicazione da parte di una piattaforma di e-commerce specializzata in e-book. Ora ho paura che i difetti del mio romanzo non possano che emergere in sede di presentazione pubblica.

Parcheggio la bici in uno spazio non troppo vicino alla libreria. Forse non sono io, pensa una parte di me, ad essere il protagonista dell'incontro. Prova ne è che parcheggio così distante! Non mi posso fermare, però. Afferro lo scatolone, prendo coraggio e mi dirigo verso l’ingresso della libreria. Entro, sentendomi un po’ un condannato. I librai mi accolgono con il sorriso, ma sono momentaneamente occupati. Non mi resta che aspettare, in silenzio.
Mi prende il terrore che non venga nessuno. “Nessuno” è impossibile: la mia famiglia è precettata, compresi mia madre e mio suocero. Qualcuno in più, però, non guasterebbe. E in effetti arriva. Poi esce. È un avventore della libreria. Visi familiari si palesano, finalmente. Il mio relatore si siede su una delle due poltrone a noi desinate. È per me un sollievo: mi siedo anch'io. Sono agitatissimo, lui gentilissimo cerca di rompere il ghiaccio. Intanto i minuti passano: ed il quarto d’ora accademico sta per concludersi.



Mentre parlo con il relatore, la coda del mio occhio destro cerca di cogliere l’eventuale afflusso di persone. Il timore di un flop in termini di pubblico è ancora forte. Anche su questo, è lui a rassicurarmi, ricordandomi l’ora difficile per chi lavora, che ne condiziona la puntualità. Ma arriveranno. Poi mi chiede con enorme delicatezza se vogliamo concordare le domande. Nonostante io sia in preda all'ansia, gli dico di no. La parte lucida della mia mente mi spinge a ricercare la massima spontaneità. Come spontaneo è stato il percorso che mi ha condotto qui, ora, in questa libreria.
A un certo punto, bisogna cominciare. Chi c’è c’è. Chi avrebbe mai pensato che un giorno uno scrittore avrebbe introdotto un libro scritto da me? Mentre lui parla sono ancora agitato, preoccupato per l’affluenza e, in più, incredulo per quanto mi sta capitando. L’introduzione è talmente perfetta che mi prende l’ansia di non esserne all'altezza. Alla prima domanda, mi vedo costretto a rompere l’illusione che si tratti solo di un sogno. E, a fatica, parlo. Poi il dialogo, improvvisato, si sviluppa con spontaneità. Rimango agitato per tutto il corso dell’intervista. Non ho l’esatta percezione del tempo che passa: ad un certo punto mi pare che stiamo sforando “di brutto”. Scoprirò a breve che non è così.



L’intervista accarezza anche il mio vissuto e porta in superficie aspetti di me che non credevo potessero emergere in questa sede. Non mi escono esattamente le parole che vorrei dire: ho quindi paura di non essere compreso. Ma per merito del relatore tutto fila liscio. C’è, poi, tempo per una domanda dal pubblico, come nelle migliori presentazioni. Alla fine, dopo parole bellissime pronunciate dal relatore, c’è anche l’applauso finale, che mi imbarazza non poco.

Foto di Andrea Gatti

Non è finita! Non manca il rito delle firme e delle dediche. Che imbarazzo!
Per fortuna, non riesco a fare battutine, che in questa situazione sarebbero di troppo. Mi limito a fare sorrisini ad occhi bassi intervallati da risatine di imbarazzo. Fatico ad attingere alla mia mente per scrivere dediche di senso compiuto.


È andata bene, tutti mi dicono. Comincio a crederci. Ci salutiamo, poi mi ritrovo di nuovo da solo, come ero venuto, con la mia bici parcheggiata a 10 metri. Si è fatto buio. Il viaggio di ritorno è una gimkana fra le emozioni. L’incredulità ancora domina la mia mente. Ho forse bisogno di un po’ di normalità per riprendermi. Voglio rivedere i miei figli rimasti a casa ed anche i miei gatti. Arrivo prima di tutti gli altri, grazie alla bici. I bimbi sono ancora dai vicini. Lampo mi chiede cibo, seguito a stretto giro da Stella. La normalità, ora. Domani riavvolgerò il nastro, serbato in un angolino del mio cuore.

La felicità è ancora inconsapevole: se davvero non ho sognato, domani potrò vestirla a festa. E crederci, per un tempo mai troppo lungo di liberazione dalle ansie quotidiane.


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martedì 13 febbraio 2018

Christian Stocchi recensisce 6sei66 sulla Gazzetta di Parma

La recensione del romanzo "6sei66 - Quattro vite oltre il Novecento" firmata da Christian Stocchi sulla Gazzetta di Parma del 13 Febbraio 2018.

Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avrà luogo presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento


lunedì 12 febbraio 2018

Sogno o son scrittore?


Chi sono io, veramente? Cos'è per me la scrittura? Ho davvero qualcosa da trasmettere o sono, invece, solo in cerca dei 5 minuti di (relativa) celebrità? O in cerca di una rivalsa nei confronti di chi, in passato, mi ha sottovalutato? Una sfida con me stesso? Un modo per combattere la noia? Una vocazione tardiva?

La mia “professionalità” ufficiale, è, in effetti un’altra …

“Hai pagato la fiera, vero?”. “Entro ieri andava fatto”. “Non l’hai fatto?”. “Come non l’hai fatto?”. “Come dici?”. “Scrittore?”. “Hai detto s-c-r-i-t-t-o-r-e?”. “Una cosa tu dovevi fare, scrittore dei miei stivali: era semplice ed indispensabile. Ora sono nella m..da per colpa di un cog…ne che si crede uno scrittore…”. “…ma è c…ione e basta!”. “Solo co.l.o.e!”. “Co…one!”.

Mi risveglio sudato: sembrava reale, quanto è bello che non lo sia! In testa rimangono, però, le domande dell’incubo. Il libro che ho scritto: cosa riesce a dire di me? Tutti abbiamo qualcosa da dire, io credo. Non mi piace parlare di “morale” o di “verità”. Io vivo di dubbi e incertezze, e coltivo pazientemente le mie paure. Quali di queste paure ho cercato di far emergere, ed esorcizzare, con il mio romanzo?

Forse quella della morte. Poi la sfortuna. La solitudine. La paura di un mondo difficile per la generazione dei miei figli. La guerra. Gli atti terroristici. L’abbandono da parte della persona amata. La perdita della libertà.

Voglio forse trasmettere, oltre alle paure, anche motivi di speranza? O evidenze di progresso? O una lente di lettura “in positivo” della realtà? O un’idea “politica” sulla società del futuro?

La risposta è sì. Ma come esprimere questo mio messaggio positivo? Perché, ad esempio, decido di parlare di una specifica “generazione”, quella del ’66? La risposta è: forse per portare alla luce una comunanza, il legame anche casuale fra persone diverse che è giusto riscoprire per neutralizzare la paura della diversità.

Non è, però, la “mia” generazione: perché questa scelta? La risposta è: in parte per timidezza. In parte per creare un po’ di sano distacco nella narrazione (rischiando, di converso, la superficialità di chi descrive esperienze ed epoche non vissute o vissute poco consapevolmente). In parte perché, in Europa, la generazione dei Sessanta è quella che, forse, ha più visto cambiare il mondo. Soprattutto, ma non solo, in positivo. C’è chi è passato dall'assenza alla conquista della libertà. Chi ha superato una condizione iniziale di povertà. Chi ha affrontato ed è sopravvissuto a tempi difficili (terrorismo politico). Poi ci sono state altre svolte che hanno destato, alcune, speranza; altre preoccupazioni e paura.

L’Europa. Con tutti i suoi limiti, la costruzione di una unione fra Stati che si sono per secoli combattuti è per me entusiasmante. E i cinquantenni di oggi sono stati testimoni privilegiati di questo percorso, non privo di ambiguità e brusche frenate. Un cinquantenne nato a Berlino Est, ad esempio, ha vissuto la pacifica rivoluzione del Muro abbattuto e la riunificazione di un Paese sconfitto e diviso. Cambiamenti epocali!

Quella che racconto è una generazione che, forse per prima, ha sperimentato nei fatti una sorta di identità “europea” (Erasmus, Inter-Rail, ecc.) e che inoltre mi ha permesso, grazie ai suoi figli (protagonisti delle ultime pagine), di esprimere la mia fiducia nei giovani, a cui toccherà prendere in mano il futuro. Sento il dovere di coltivare speranza per i miei figli e poi per i figli dei miei figli. Nessuna rassegnazione mi è consentita. È mia, invece, la convinzione, di cui hanno avuto prova diretta i nati nei Sessanta, che le persone sono in grado di cambiare gli scenari e condizionare la storia.

“Belle parole, proprio belle …. parole di uno s-c-r-i-t-t-o-r-e che adesso, tuttavia, chiamerà subito l’organizzatore della fiera e, con parole convincenti come solo quelle di uno scrittore possono essere, si scuserà per il ritardo da scrittore ed otterrà una proroga per il pagamento della quota che lo stesso scrittore, travestito da cogl…e, non ha corrisposto per tempo”.

Non era un incubo, allora! È la paurosa realtà!

“Muoviti, c..lione!!”.  

Altro che scrittore …

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giovedì 8 febbraio 2018

Genesi di un romanzo: 6) Sono uno "scrittore per caso"?


Partecipa, il prossimo 14 Febbraio 2018, alla presentazione del romanzo 6sei66 che avverrà presso la Libreria Voltapagina a Parma: leggi di più sull'evento

Ciao sono Alberto, l'autore di 6sei66. Vuoi conoscermi meglio? Provo a farmi qualche domanda e a darmi qualche risposta. Inizio con: 

Sono io uno ... "scrittore per caso"?

(CONTINUA) … Comincio a dubitare delle mie ottimistiche aspettative. Ed anche a riprendere in considerazione un sano calcolo delle probabilità. Siamo un popolo di santi, navigatori e…poeti. Aggiungo: scrittori. Migliaia di persone, giovani e meno giovani, partecipano ai concorsi e tornei letterari. Sono tanti e lottano insieme a (anzi, contro di) me. Perché mai dovrei riuscire a surclassarli? L’idea di partenza del mio romanzo è originale, me l’hanno detto in molti. Ma è sufficiente? Lo sviluppo della storia soddisfa le aspettative suscitate dalla sinossi? Il puzzle congegnato rimane fissato, o rischia di sbriciolarsi appena si cerca di appenderlo al muro? (L’efficace metafora non è mia, ma di un severissimo recensore del mio libro). Ecco, questa è tutta un’altra storia, un altro livello di valutazione. Ottimisticamente, lo sviluppo può perlomeno piacere a qualcuno e non piacere ad altri.
Ancora due concorsi devono svelare il loro esito. Vediamo come va …. magari qualche recensore è rimasto colpito ed ha deciso di “sposare la mia causa”. Esce prima, a sorpresa, l’esito della grande casa editrice. Scorro l’elenco nel modo già descritto, con 50 sfumature di lettura per non lasciarmi sfuggire alcunché. Niente. Non ci sono. Ed è, ancora una volta, solo la prima fase. Come è possibile? Qualcosa nelle mie speranze si è già rotto prima di leggere questo elenco. Sto cominciando, in altre parole, a capire l’antifona.
All'ultimo tentativo, quello del concorso a fase regionale, mi appresto a togliermi la lente fiduciosa e vedo finalmente i numeri nella loro crudezza. Qui verrà selezionato addirittura un solo candidato per regione. Almeno non c’è da scorrere elenchi! “Emilia-Romagna”: non ci sono. È difficile la controprova, ma riesco ad affrontarla ugualmente: setaccio la pagina in ogni suo pixel. Inutile, ovviamente.
Mi scappa un mezzo sorriso. Forse sono davvero vaccinato. Mi sento un po’ Fantozzi, questo sì. Ma lo smalto di artista incompreso è venuto via del tutto. Mi guardo impietosamente allo specchio e vedo … uno scrittore per caso che dovrà, presumibilmente, abbandonare le sue aspettative di pubblicazione.
Non erano così ambiziose, le mie aspettative. Oddio, in effetti una parte di me sognava successi planetari e fama imperitura. Un’altra parte più pragmatica, però, si sarebbe “accontentata” di trovare una casa editrice, anche piccolissima, disposta a pubblicare il romanzo. E comunque, il meccanismo innestato ha comportato attese, suspense, piccole e grandi illusioni. Mi ritrovo dentro ad un percorso che, ancora, vorrei in qualche modo portare a termine

[CONTINUA] 
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martedì 6 febbraio 2018

La Politica in Mala Fede


Gentile Direttore,

nel Suo editoriale di domenica 21 Gennaio, Lei esprime apprezzamento per gli inviti del Presidente Mattarella ad andare a votare, “smontando” il luogo comune del politico ladro e inaffidabile e chiamando i cittadini elettori ad assumersi la propria responsabilità per il passato e, nelle urne il prossimo 4 Marzo, anche per il futuro.
Anch'io credo che, in sostanza, negli ultimi 30/40 anni noi Italiani ci siamo meritati la classe politica che ci ha governato. E andrò a votare, come ho sempre fatto alle elezioni politiche da quando ne ho facoltà. Tuttavia, secondo me il virus della “mala fede” ha, purtroppo, contaminato un’ampia fetta di establishment, condizionando le decisioni pubbliche e l’indipendenza dei media, ed accentuando quella perdita collettiva di memoria che è da molti riconosciuta come concausa del nostro declino.

Qui, a mio avviso, ci sono responsabilità precise, che i cittadini tendono purtroppo a non ricordare, di una classe dirigente e di gruppi di potere che hanno agito cinicamente per i loro esclusivi interessi.
Il Parlamento nel 2005 votò una nuova legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”, che mandava in soffitta il Mattarellum - con i suoi difetti ma anche con il pregio di avvicinare, attraverso i collegi uninominali che eleggevano il 75% dei parlamentari, gli elettori alle persone in carne ed ossa che li avrebbero rappresentati -, con l’esplicito scopo di condizionare in una certa direzione le elezioni del 2006. Da allora, il legame fra elettore ed eletto non ha più avuto alcuna rilevanza nelle urne, con candidati scelti dalle segreterie dei partiti ed inseriti in liste bloccate.
Da 12 anni i parlamentari sono “indicati” dai partiti e meritano il loro scranno grazie alla posizione in lista che è stata loro concessa “dall'alto” e, solo in minima parte, grazie al popolo italiano chiamato a votare unicamente per un partito e non più per una persona (le primarie sono state, per una sola parte politica, un tentativo non sempre riuscito di rimediare a questo distacco crescente).
Si è votato in questo modo nel 2006 – sulla base, lo ripeto, di una decisione presa in mala fede dalla maggioranza parlamentare di allora -, poi nel 2008 ed infine nel 2013.

Successivamente è stata la volta dell’“Italicum”, approvato dal Parlamento per la sola Camera (in vista dell’abolizione del Senato), con i capilista bloccati e la previsione del ballottaggio per “conoscere il nome del vincitore la sera stessa delle votazioni”. La mala fede della classe politica si rivela, anche oggi, nel racconto falso di una legge elettorale spazzata via dal referendum del 4 dicembre 2016. La verità è che il Parlamento ha approvato, come già fece con il Porcellum, una legge elettorale dichiarata poi incostituzionale dalla Consulta. Se non in mala fede, i parlamentari che hanno approvato l’Italicum hanno perlomeno dato prova di incompetenza! O no?
L’ultima legge elettorale, il Rosatellum-Bis, è stata presentata all'opinione pubblica come uno degli esiti del No prevalente al referendum. Non è così, come detto sopra. Gli Italiani non hanno votato, con il referendum, per un ritorno al proporzionale (solo un po’ corretto dal 25% di collegi uninominali, mentre nel Mattarellum erano il 75%!). È un racconto in mala fede, usato per avallare una legge elettorale che non colma la distanza fra elettori ed eletti e rende, nello stesso tempo, difficile la governabilità spingendo verso le larghe intese.

Ecco, in tutta questa storia, che i media raramente ricostruiscono nella sua interezza con la scusa che sarebbe troppo noiosa per i cittadini-spettatori, io vedo solo gravi responsabilità in capo alla classe politica. In 12 anni, questa non ha fatto nulla – neanche con l'Italicum il quale, lo ripeto per la terza volta, non è stato rifiutato dagli Italiani, semplicemente non era compatibile con il nostro ordinamento – per riavvicinarsi ai cittadini-elettori.
Noi Italiani abbiamo mediamente - è vero - poco senso civico e, di conseguenza, molte responsabilità nel destino incerto del nostro Paese. Tuttavia, fino a quando non sarà ripristinato il corretto rapporto democratico di selezione e controllo dell’elettore nei confronti dell’eletto, i cittadini – anche quelli che si astengono – potranno legittimamente considerarsi innocenti di fronte all'immobilismo ed alla scarsa efficienza delle istituzioni pubbliche.

(Lettera al Direttore inviata il 21 Gennaio 2018 alla Gazzetta di Parma, ma non pubblicata)

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lunedì 5 febbraio 2018

Genesi di un romanzo: 5) Sono io pronto a vincere un...torneo?



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Sono io pronto a vincere un...torneo?

(CONTINUA) ….Stavolta ce la farò. Cambio strategia, però, rispetto al primo invio massivo del manoscritto alle case editrici. Come ho potuto pensare, mi ripeto, che l’Einaudi mi prendesse in considerazione? Solo perché ho respirato, a Santo Stefano Belbo, la stessa aria di Cesare Pavese? Solo perché ho studiato, con esiti neanche brillanti, nel medesimo liceo frequentato da Beppe Fenoglio?
No, non è questa la strada. Devo fare un percorso da principiante, da esordiente. Decido così di setacciare tutti i bandi di concorso già pubblicati o che saranno pubblicati a breve. Non mi accorgo subito di una contraddizione probabilistica insita nel mio ragionamento, e mi rimetto in moto con la mia gioiosa macchina da guerra. Decido di partecipare al concorso indetto da una nota azienda radiotelevisiva pubblica, approfittando del fatto che è l’ultima edizione a cui, per motivi di età, posso ancora partecipare. Allo scoccare dei 40 anni sarò, infatti, fuori dalla categoria “giovani”, unica ammessa al concorso. La selezione è innanzitutto effettuata da commissioni regionali, che sceglieranno il loro testo migliore il quale si andrà a scontrare, in una seconda fase, con i migliori delle altre regioni.
Non so da dove mi derivi, ma coltivo la speranza di superare la prima fase. Cioè, mi metto in testa che sia probabile, a prescindere dal numero di candidati, che la scelta dei commissari regionali cada su di me. Una valutazione simile riservo ad altri due concorsi nazionali, indetti da grandi case editrici. Uno dei due è il torneo a cui ho già partecipato e che mi ha visto eliminato già prima delle semifinali. Ora, però, ho fatto corpose modifiche al testo iniziale. Ora è diverso. Mi sento “umile” per aver provato a recepire critiche e suggerimenti. In questa fase, sono così fiducioso di essere notato almeno in un caso che mollo un po’ la presa sulle case editrici. In realtà, a quelle che accettano la versione digitale decido di inviare la nuova edizione del mio romanzo. Non ripeto, invece, gli invii cartacei.
La primavera intanto sboccia e dona luce alle mie ingenue speranze. Anche lontano dalle date previste di pubblicazione dei risultati, passo spesso sulle pagine e sui siti dedicati ai concorsi, caso mai decidessero di anticipare il verdetto. Si affaccia, man mano, anche la paura. Limito le aspettative al superamento della prima fase, in almeno uno dei concorsi per esordienti a cui mi sono candidato. È il momento della pubblicazione dei risultati del torneo. La scoperta della sorte della mia opera avviene in un modo che si ripeterà spesso.
Esce la notizia dei risultati, la suspense mi prende e freno i miei click. Con molta calma apro la notizia, ne leggo l’introduzione e poi vedo l’elenco in ordine alfabetico delle opere che passano il turno. Il mio sguardo indugia lontano dall'iniziale del mio libro. Che essendo un numero, dovrebbe comportare la presenza ai primi posti, in alto. Non c’è. Siamo poi sicuri che il numero ne determini la collocazione in alto? Magari c’è una sezione speciale, in fondo, dedicata alle iniziali in forma di numero. Niente neanche in fondo. A questo punto, urge lo scorrimento dell’elenco. Magari si è inteso utilizzare la dizione in lettere del numero che rappresenta l’iniziale del titolo. Un po’ cervellotico, ma potrebbe essere. È rapido verificare che sotto la “s” di “sei” non c’è il mio libro. Uno per uno, rifaccio il controllo dei titoli di tutte le opere finaliste. Niente. Non c’è.
La suspense lascia spazio ad una delusione tanto forte quanto elevate erano (forse illogicamente) le aspettative. Andrò ancora, nei giorni successivi, a controllare l’elenco sperando in una iniziale omissione a cui gli organizzatori debbano porre rimedio, magari con un bel “errata corrige”. Ma è inutile, tutte le posizioni dell’elenco in cui potrebbe collocarsi il mio libro si rifiutano di citarlo. Di nuovo, il mio vittimismo di artista incompreso prende quota, poi si sgonfia lasciando spazio alla rassegnazione ed alla sfiducia. Il morale è salvato dall'attesa degli esiti degli altri due concorsi, non ancora resi pubblici. L’avventura continua. Finché c’è competizione, posso ancora giocarmela. Così penso…


[CONTINUA] 
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