venerdì 29 settembre 2017

Estratto n. 6 - Nel 1986 Delphine scopre l'amore a Parigi



Ti propongo il quinto estratto dal romanzo "6/6/66 - Quattro vite oltre il Novecento".

Siamo nel 1986Delphine ha 20 anni e vive a Parigi da studentessa universitaria fuori sede, in un appartamento con altri due ragazzi, Thierry e Jerome. L'amore che nasce segue un copione non previsto...


Il romanzo integrale può essere acquistato in versione cartacea o scaricato GRATIS in versione e-book (offerta valida fino al 15 Ottobre 2017)


Buona lettura!

P.S. Per comodità di lettura, nel testo troverai grassetti, sottolineature, hashtag e link che, tuttavia, NON sono presenti nella versione originale del romanzo.

#1986 - Capitolo 8 - #Delphine
[...] Il treno da #Rennes alla Gare du Nord sta correndo veloce mentre le luci del giorno si attenuano e la sera inizia ad affacciarsi. Vivo a #Parigi da studentessa fuori sede, in un appartamento del #Quartiere_Latino, assieme ad altre due persone: due ragazzi, per la precisione. #Thierry è un artista. Pittore e scultore, ha già esposto le sue opere al #Beaubourg ed in diverse gallerie d'arte della città.
#Jerome lavora in banca, è un ragazzo molto attento all'ordine ed alla pulizia, a differenza di noi due suoi coinquilini, disastrosamente disordinati e ritardatari. Thierry ha una fidanzata, Annie. Jerome ha un fidanzato, David. Ci ritroviamo spesso, di sera. Amiamo il cinema. Thierry soprattutto i film americani, di cui ci costringe a digerire gli eccessi. Ad eccezione di Blade Runner, che ho adorato, in genere preferisco i film italiani, mentre Jerome è più patriottico.
Vita sentimentale? Burrascosa, direi. All'appuntamento fisso del venerdì con i coinquilini e le rispettive metà – consolidate metà, sembrano sposati! - io sono meno prevedibile! La rotazione dei miei accompagnatori è piuttosto elevata, tanto che i miei cari amici sono sempre a prendermi in giro sulla durata delle mie “relazioni” e a mettermi in imbarazzo con i miei nuovi boyfriend.
Quanto amo Parigi! Amo gironzolare per i quartieri, fermarmi ai #bistrot, chiacchierare con le portinaie che sbuffano. Così prolungo il mio ritorno a casa... “Jerome, Thierry, sono tornata!” annuncio non appena ho aperto la porta di casa. Non risponde nessuno. Saranno usciti. Trovo un bigliettino: “Siamo al concerto di #Vanessa_Paradis”. Non ci credo. Mi rassegno e accendo il televisore. “Il tempo delle mele 2” non mi fa emozionare come il primo. Però quel Pierre Cosso non è niente male.
Non mi sento troppo bene e, a metà del film, per la nausea che non si placa mi precipito in bagno e libero il mio stomaco dalla pur esigua cena di stasera. La nausea mi accompagna da qualche giorno. Strano.
[...]
Ho un “ritardo”. Andando a lezione, vedo una farmacia: decido di entrare per fugare ogni dubbio. Come succede nelle commedie americane? Ecco, precisamente. 
Dopo pochi mesi la pancia è ormai evidente. Un piccolo marmocchietto di cui ignoro il sesso si sta muovendo dentro di me. Sono felice. Di più, raggiante! Devo ancora spiegarlo bene a Etienne. Spero che non si ingelosisca troppo, il mio fratellino. 
Chi è il padre? Come nelle soap opera americane, la risposta non è banale. Thierry. Lui, non un omonimo. Il mio coinquilino. Fidanzato. Quasi sposato. Non con me, però.
Già fissata da tempo la data delle (sue) nozze, ci siamo ritrovati una sera, io e lui, a guardarci negli occhi. Lo amo. Forse l'ho amato dal primo momento in cui gli ho parlato. C'era già Annie nella sua vita. Siamo diventati amici, oltre che coinquilini. Gli ho raccontato della mia famiglia [...]. Del mio fratellino, la cui nascita ha restituito il sorriso a tutti noi. 
“Perché mi guardi così?” gli ho chiesto quella sera. “Perché tu mi guardi così?” mi ha chiesto lui a sua volta. Ci siamo messi a ridere. Poi lui mi ha accarezzato i capelli sussurrando qualcosa che non ho compreso. “Cosa?” gli ho chiesto. Lui ha alzato impercettibilmente la voce, facendomi intuire: “Non posso, non posso...”. A quel punto ho preso l'iniziativa, senza il minimo dubbio. Gli ho accarezzato il viso, pungente per la barba di qualche giorno. E l'ho baciato. Lui non si è tirato indietro. È stato come arrivare a destinazione di un lungo viaggio. Ero nel posto in cui avrei voluto essere. Le insicurezze sparivano, esisteva solo il presente. Un presente per cui pensavo, in quei momenti, di aver sempre vissuto.
Lui è sicuramente il padre del mio bambino. 
I mesi sono trascorsi nella gioia e nell'ansia. Un'ansia gioiosa. Sono all'Università e calcolo la frequenza delle contrazioni. “Sei una mongolfiera!” esclama con poco tatto la mia amica Jeanne. “Che ci fai ancora qui?” aggiunge. “Io sto benissimo” le sorrido accennando un goffo balletto per dimostrare una improbabile mobilità. “Ehi, piano #Delphine! Non vorrai farlo nascere qui! Ricevuto! Ho capito che stai bene, ora però siediti”. Proprio mentre il docente ci sorprende con nuove teorie sulla scoperta di Troia, mi accorgo che è arrivato il momento. 
Mi alzo con calma dalla sedia, il professore mi nota, capisce tutto e interrompe la lezione. Dopo pochi minuti, sto sfrecciando assieme a Jeanne, che si è offerta di accompagnarmi guidando la mia auto. Ora cerca di mostrarsi calma, ma nonostante i miei dolori sono io a tranquillizzarla. “Respira, Delphine, fai come me” e mi mostra la sua goffa simulazione. Non riesco a trattenere una risata, nonostante tutto. 
Arrivo appena in tempo in sala parto: la mia piccola #Gabrielle nasce dopo pochi minuti, regalandomi un travaglio intenso ma brevissimo. Piange ricoperta del mio sangue e della mia placenta. Poi viene pulita e la ritrovo al mio fianco. Ho quasi timore a toccarla. La porto dolcemente al mio seno, ed il nostro legame indissolubile si consolida. [...]
 [CONTINUA]

mercoledì 27 settembre 2017

Estratto n. 5 - Quando il regime sta per crollare, Helga dimostra il suo coraggio

Berlino Est, Wallstrasse, 1986


Ti propongo il quinto estratto dal romanzo "6/6/66 - Quattro vite oltre il Novecento".

Siamo nel 1986Helga ha 20 anni e vive a Berlino Ovest. Sono passati dieci anni dall'ultima volta che ha visto suo padre. Il quale vive a poca distanza, a Berlino Est. Forse è venuto finalmente il tempo di riabbracciarsi...

Il romanzo integrale può essere acquistato in versione cartacea o  scaricato GRATIS in versione e-book (offerta valida fino al 15 Ottobre 2017)

Buona lettura!

P.S. Per comodità di lettura, nel testo troverai grassetti, sottolineature, hashtag e link che, tuttavia, NON sono presenti nella versione originale del romanzo.

#1986 - Capitolo 7 - #Helga
[...] Sono turbata. Mio padre non era in sé. Era terrorizzato. Ho provato a calmarlo, gli ho dato appuntamento per domani pomeriggio alle quattro. Spero che vada tutto bene.
“Max, l'ho sentito al telefono. La sua voce, la sua reazione … non mi sono piaciuti per niente”. “Non aver paura, #amore” mi risponde “l'incubo sta per finire. Qui ad #Ovest tuo padre avrà il tempo di riprendersi. Noi lo aiuteremo”. Mi sorride con dolcezza, un po' mi rassicura. “Ho bisogno di te stasera, Max. Ne ho tanto bisogno”. Facciamo l'amore. Lo sento vicino, mi sento protetta. Poi però lui se ne va, e la notte non è semplice da superare. Tutta la sicurezza che lui mi ha dato sembra sbriciolarsi di fronte ai pensieri, alle congetture che mi rapiscono. E poi c'è Ernst. Papà ed Ernst. E la mamma. Ho bisogno di una camomilla, assolutamente. È ormai notte inoltrata quando riesco, finalmente, a chiudere i miei occhi stanchi.  
Ho visto molte foto, ma la realtà è ancora più impressionante. Mi trovo oltreconfine. Le auto. Sono poche in giro e.... sembrano di un'altra epoca. Come se questa porzione di mondo si fosse fermata ad un tempo indefinito, quasi irreale. C'è indubbiamente tranquillità. “Ecco, signorina, suo padre vive in questo palazzo” mi comunica il poliziotto dell'#est
Ai miei occhi si rivela un casermone di cemento senza fronzoli, con le finestre quasi tutte chiuse e poche terrazze distribuite con regolarità. Uguaglianza architettonica. Anche l'interno è assai sobrio. Ci accoglie il portiere con occhi guardinghi. Saliamo le scale. Ho il cuore in gola, Max mi tiene la mano. Arrivati davanti alla porta, ho l'impulso di tornare indietro. Non me la sento. È Max a pigiare il campanello. Passano minuti interminabili, poi sento dei passi agitarsi. Forse anche lui prova la mia stessa paura? Eppure deve essere una gioia. Rivedersi dopo dieci lunghi anni. La porta si apre molto lentamente. C'è il catenaccio da togliere. I capelli sono parecchio imbiancati, il viso è emaciato ed il corpo è filiforme. Ma è lui, è sempre lui: lo abbraccio, provo a calmarlo. 
Papà” la voce mi trema. “Helga, non .... voi cosa volete da me?” si rivolge ai poliziotti in divisa e a Max, in uniforme militare. “Papà, non ti preoccupare, va tutto bene. Sono qui. L'importante è questo” non riesco a trattenere le lacrime. 
Mio padre sembra toccato, ma non piange. Ha paura. Terrore. “Cosa volete? È una trappola. Ve l'ho già detto e ridetto che non sono una #spia”. “Papà”. “Helga, ti hanno ingannata, figlia mia. Non mi credono”. “Papà, ti prego, fidati di me. Guardami. Devi fidarti di me, non ti ho mai mentito. Ricordi l'ultimo viaggio fatto assieme? - parlo sottovoce -. La fuga, la benzina che finisce, il compagno Ulrick che ci accoglie ma sembra tradirci, la decisione presa di non tornare indietro”. Hans è colpito dal ricordo, ma pare tranquillizzarsi. I poliziotti hanno finalmente deciso di andarsene. Sappiamo tutti, però, che non ci lasceranno liberi.
“Papà, questo è Max, un mio... amico... caro”. “Un soldato? Della #Germania Ovest?”. “Piacere, signore. Helga mi ha parlato di lei fin dall'inizio della nostra.... amicizia”. “Ho capito, state assieme. Mi raccomando, mia figlia è una ragazza speciale”. “Lo so, signore”. Max è stranamente timido al cospetto di mio padre. Forse perché, come me, lo vede dimagrito, ingrigito, poco curato. Deve aver sofferto molto.
“Ma... ditemi, la mia Ruth.... come sta? Io la sto aspettando. Sto aspettando di essere libero. Libero di rivederla, di ricominciare. Il #regime è agli sgoccioli – aggiunge a voce bassissima, come se qualcuno lo potesse sentire mentre pronuncia parole blasfeme – sapete? Non durerà a lungo”. Decido subito di non parlargli della nuova vita della mamma. Non sarebbe pronto ad accettare la nuova realtà. Sembra lui stesso come la #DDR, fermo al passato, fermo all'ideale.   
[...] “La mamma sta bene” rispondo con imbarazzo. Max cerca di venirmi in aiuto avviando un altro discorso: “Signor Hans, so che lei lavora all'azienda elettrica...”.
Tre giorni. È il tempo che le autorità della DDR hanno concesso a me e a mio padre, per coprire un vuoto di lontananza durato dieci anni. Gli racconto tutto di me, dei miei studi. Glisso sulla mamma. 
“Devi aiutarmi” mi dice il terzo giorno. “Certamente, papà”. “Devi portarmi con te ad Ovest. Non ce la faccio più. Sai quante volte ho pensato di buttarmi giù dalla finestra?”. “Papà, cosa dici? Io come faccio? Io...”. “Ti prego, ti prego....” ora le lacrime scendono dai suoi occhi stanchi. Ma è come se non parlasse a sua figlia. È come se cercasse con tutto sé stesso di aggrapparsi all'ultima occasione di essere libero.
Mi alzo dalla sedia, turbata. Non posso, non posso assecondarlo. È troppo pericoloso anche solo ipotizzarlo. [...]
 [CONTINUA]

martedì 26 settembre 2017

Estratto n. 4 - Il 1986 di Antònio ha il segno della fiducia tradita

Il Ponte 25 de abril a Lisbona


Ti propongo il quarto estratto dal romanzo "6/6/66 - Quattro vite oltre il Novecento".

Siamo nel 1986.
Antònio ha 20 anni e vive a Coimbra, in Portogallo. La vita gli ha riservato sofferenze, ma anche gioia: quella di veder crescere la sorellina Luna. Ed un ritorno inaspettato sembra lenire le vecchie ferite...

Il romanzo integrale è scaricabile GRATIS in versione e-book. 

Buona lettura!

P.S. Per comodità di lettura, nel testo troverai grassetti, sottolineature, hashtag e link che, tuttavia, NON sono presenti nella versione originale del romanzo.

#1986 - Capitolo 6 - #Antònio 
[...] È un mese ormai che siamo tornati ad essere solo io e #Luna. Con papà i rapporti sono più distesi, ci sentiamo al telefono. Sembra sereno. Il proposito di cambiare: non è la prima volta che lo esprime, a parole. Poi però, quando ti ha quasi rassicurato sul cambio di rotta, ci ricasca. 
A volte vorrei andarmene via. Oltre l'Atlantico. In America, assieme a Luna. Per rifarci una vita. Vorrei ritornare a studiare. Avrei continuato volentieri, mi sarei iscritto alla Facoltà di Ingegneria Informatica. Poi i guai di papà mi hanno travolto. Ci hanno travolto. Sono stato costretto a rimboccarmi le maniche. Piccoli lavoretti mi tengono occupato tutto il giorno. Ma devo tenere duro...
Suona il campanello. “Vado io, António”. Luna apre la porta a due bellimbusti della #polizia. “Buongiorno, piccola, tuo fratello è in casa?”. “Ss...sì, certo. António, vieni! Ma....cosa è successo?”. “Adesso ne parliamo con tuo fratello, ma non ti devi preoccupare”. Il volto rigido del poliziotto - poco più vecchio di me - si scioglie in una espressione comprensiva e quasi dolce. Ci risiamo, me lo sentivo. Ancora quel groppo al cuore mi attanaglia … e poi torna quella rassegnazione alle brutte notizie che fiacca, ancora una volta, le mie speranze. 
La porta della cucina è chiusa dietro di noi. “Riguarda suo padre. È scomparso”. “Cosa? Ma non è possibile, l'ho sentito solo tre giorni fa”. Il cuore mi balza in gola, sono costretto a sedermi. Fuggito. Ma dove? “Se dovesse farsi vivo con lei o con sua sorella, deve assolutamente avvisare la polizia”. 
Non sta succedendo a me, non può essere. Lo odio! Ci sta di nuovo facendo del male. Come temevo, non è cambiato. Come ho potuto essere così stupido? Questo mi succede se seguo il cuore … mi è capitato un padre che non è più in grado di darci alcuna sicurezza. Altri sono, forse, più fortunati. Io ho avuto lui.  
“António, cosa è successo? Dimmelo ti prego”. Luna mi mette con le spalle al muro, appena i poliziotti se ne sono andati. La promessa. Da domani ti parlerò da grande a grande. Come posso continuare a proteggerla senza più poterle mentire? “Papà ... è scappato [...]” il mio è un sussurro. Quanto avrei desiderato non dover pronunciare questa frase! Un silenzio segue la rivelazione. Mi aspetto il peggio. Prevedo lacrime ed urla, e mi preparo ad abbracciarla. 
Ma quello che temo non accade. Anzi Luna chiede, con gli occhi asciutti: “Dove si trova adesso?”. Qualcosa non mi convince nell'espressione del viso di mia sorella. Conosco le sue esitazioni, i motivi dei suoi pudori. Difficilmente mente, ma quando lo fa me ne accorgo. Rimango spiazzato. “Perché me lo chiedi, tesoro? Non sembri sorpresa...”. “Che dici, António? Sono sconvolta...” mi risponde “...e non riesco neanche a pensare”. 
“Non ti devi preoccupare, Luna. Io sono sempre con te, supereremo anche questa brutta vicenda. Non avrei dovuto fidarmi di lui .... non avrei dovuto! Quel....”. “No, António, basta, ti prego ... Non è colpa di nessuno”. Colpa di nessuno? Che significa? La colpa è chiaramente di quell'uomo, che ormai con noi ha chiuso. Non mi farò più abbindolare. 

#Lisbona. Sono passati due mesi. Non riesco a dimenticare lo sguardo di una bambina combattuta. Fra ideali di giustizia, infantili e puri, e l'amore forte, fortissimo per un padre assente, colpevole, egoista. Ho ancora la lettera di #Luís stampata nella mia memoria. L'ho trovata in casa il giorno dopo la visita della polizia. [...]
Salazar ha lasciato il segno in questa città. Il ponte da cui osservo i tram arrampicarsi sulle colline e poi scendere a folle velocità è il monumento alla megalomania del dittatore. Anche tu, Luís, sei stato megalomane nella tua disperazione, nella tua fuga rocambolesca. [...]
Mi hai rubato anche il sogno, Luís. Non voglio più chiamarti papà. Ma ti ritroverò [...], dovessi impiegare dieci anni.
 [CONTINUA]


mercoledì 20 settembre 2017

Estratto n. 3 - Nel 1986 Gustav vive un incontro importante



Ti propongo il terzo estratto dal romanzo "6/6/66 - Quattro vite oltre il Novecento".

Siamo nel 1986.
Gustav ha 20 anni e vive a Odense, in Danimarca. La sua festa di compleanno gli riserva un incontro buffo e inaspettato...

Il romanzo integrale è scaricabile GRATIS in versione e-book. 

Buona lettura!


P.S. Per comodità di lettura, nel testo troverai grassetti, sottolineature, hashtag e link che, tuttavia, NON sono presenti nella versione originale del romanzo.


#1986 - Capitolo 5 - #Gustav 
Let's dance” canta David #Bowie, e tutti lo prendono alla lettera. Sono seduto a un tavolino della discoteca, tutta dedicata alla mia #festa di #compleanno

“Put on your red shoes and dance the blues....”

“Gustav, sei il solito guastafeste!”: #Sven mi chiama, sta ballando con una rossa-niente-male, dai loro sguardi reciproci sembra che si conoscano da anni. Forse è così. Ovvero, non vi capita mai di incontrare una persona per la prima volta, ma con la sensazione di conoscerla da sempre? Lo chiamano destino, la chiamano anima gemella, l'altra metà di me.... 
Mi muovo per il locale e mi ritrovo in una sala appartata. 
“Non ho mai visto nessuno, parola mia, essere così assente ad una festa per il proprio compleanno”. C'è qualcuno allora. Una ragazza, che sta parlando proprio a me. “Ehi, ciao, sai, la musica mi rimbombava nelle orecchie...” balbetto. “In effetti non mi sembra il tuo ideale di festa...”. Ecco proprio questa sensazione, ci pensavo prima – ed ora riprendo il filo del pensiero – incontri una persona e ti sembra di conoscerla da sempre. Lei sa quali feste ti piacciono anche se non ve lo siete mai detto. 
“Ehi, ti senti bene?” mi domanda lei. “Sì, scusami. So che non dovrei chiederlo, ma Sven ha organizzato la festa ed io, come dire, non conosco tutti ... potresti dirmi chi....”. “Chi sono?” e poi una risata, gli occhi color nocciola si stringono e diffondono luce tutt'intorno .... Ancora quella sensazione .... il destino. “Dici sul serio, non sai chi sono?”. “Beh...” balbetto di nuovo. “OK, sono la tua anima gemella!”. Mi ha letto nel pensiero. La mia anima gemella. C'è qualcosa, in effetti, di lei che mi fulmina, mi paralizza, mi fa ricordare momenti indistinti.
“Sì, l'avevo capito” le dico inebetito, e poi nuovamente la mia metà si mette a ridere. Una risata amica, familiare. Il modo in cui piega il suo collo all’indietro, poi chiude gli occhi e li riapre, tanto che sembrano parlare. La fronte è ampia, libera dai capelli marroni ritti a spazzola, tagliati corti a far risaltare un paio di orecchini pendenti, di diametro importante, luccicanti al riflesso del neon da discoteca. Mi esce un sorriso sulla bocca, mi piace sentirla ridere, vorrei che continuasse…. 

“....Let's dance to the song 
They're playin on the radio....”

“Tesoro, sei qui”, la porta si apre, è la mamma. “Non chiamarmi tesoro, ti prego mamma: oggi compio 20 anni!”. “Ma sei e sarai sempre il mio tesoro”. “Santo cielo ... oops, mamma, ti vorrei presentare .... non ti ho chiesto il nome, perdonami”. Le due donne si guardano e, all'unisono, scoppiano (di nuovo) in una sonora risata, al che comincio seriamente a preoccuparmi. Ho forse uno strano cappello in testa?
“Ma .... perché ridete? Forse vi conoscete?” azzardo a voce alta la mia deduzione. “Ci conosciamo tutti e tre, tesoro!” risponde Tamara, e poi altre risate. Mi volto repentinamente a guardare la ragazza: il suo sorriso, le sue labbra, qualcosa nei suoi movimenti. Gli occhi che già mi parlavano. “Sono #Lotte, siamo stati compagni di classe alle elementari, ti ricordi?”. Lotte? Ma … certo, Lotte.

“...Let's way
While color lights up your face...” 

“Sei veramente tu? Sono anni che non ci vediamo”. “Hai visto che bella sorpresa, tesoro?” irrompe Tamara. “Mamma?”. Improvvisamente entra Sven assieme alla folata di decibel della discoteca: “Ma dove ti eri cacciato, vieni! C'è la torta, ti stiamo tutti aspettando!”. David Bowie sta, intanto, lasciando il posto ai Duran Duran.  [...] 
Lotte. Ma come ho fatto a non riconoscere Lotte? [...] Mi ritorna in mente un pomeriggio di giochi in cortile, a scambiarci piccoli segreti e a darci appuntamento per il futuro. Quel pomeriggio avevamo deciso di nascondere alcuni oggetti tra i sassi scomposti di un muretto in rovina: un pupazzetto, una pallina di gomma, una piccola bambola, un soldatino. “Li ritroveremo quando saremo cresciuti” mi aveva detto la mia amica. “Torneremo qui, non importa da dove né quando”. Avevo dimenticato la nostra promessa di un pomeriggio di gioco. Non avevo dimenticato Lotte, però. O meglio, rimaneva il calore nel mio cuore di momenti spensierati a puntellare una vita che a volte mi ha riservato tristezza e preoccupazione. 
Quando ho saputo che si sarebbe trasferita a #Copenhagen, ho provato un senso di vuoto. 
Il vortice di ricordi mi travolge e mi asseta: voglio rivederla, riprendere il filo del discorso. Sven però mi sta trascinando alla festa, vedo Lotte sorridere mentre mi allontano e ritorno nella confusione. La torta, gli amici, gli scherzi. Io rido, sorrido, annuisco, ma sono altrove. Stavolta sono, con la testa, dove vorrei essere. Con lei.
 [CONTINUA]


lunedì 11 settembre 2017

The Teacher: le contraddizioni del socialismo reale


Consiglio cinematografico: andate a vedere "The Teacher" in questi giorni nelle sale.
Ambientato a Bratislava negli anni Ottanta e tratto da una storia vera, il film squarcia un velo sul finto egualitarismo, il nepotismo, i favori e mercanteggiamenti e tutte le altre contraddizioni del socialismo reale.
Il racconto riguarda proprio quel mondo della scuola, che spesso era enfatizzato come il "fiore all'occhiello" dei regimi comunisti.

Nel suo piccolo, anche il romanzo 6/6/66 parla, con il personaggio di Helga, della vita dietro la Cortina di Ferro.

Fonte dell'immagine: mymovies.it

lunedì 4 settembre 2017

Estratto n. 2 - Nel 1976 Delphine vive il dramma del terrorismo

Fotogramma dal film "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio (2003)

Ti propongo il secondo estratto dal romanzo "6/6/66 - Quattro vite oltre il Novecento".

Siamo nel 1976.
Delphine ha 10 anni quando la minaccia del terrorismo tocca i suoi affetti più cari. La zia Georgette in Italia è entrata in contatto con un gruppo eversivo. La bambina avrà modo di incontrare la sua amata zia, a Padova, in circostanze drammatiche....

Il romanzo integrale è acquistabile on-line in versione cartacea o e-book

L'e-book è in offerta a soli 0,99 euro.

Buona lettura!


P.S. Per comodità di lettura, nel testo troverai grassetti, sottolineature, hashtag e link che, tuttavia, NON sono presenti nella versione originale del romanzo.


#1976 - Capitolo 4 - #Delphine 
[...] #Adrienne si sveglia all'improvviso, scatta per lo spavento. Era un incubo. L'ennesimo. Il cuore le batte forte, ripensando alla storia ancora una volta rivissuta, respirata, toccata sperando di poterla modificare. Sono passati tre mesi dal #viaggio in #Italia. La #morte ancora la accompagna. #Alphonse la abbraccia. “Lasciami, per favore”. “Adrienne, fatti aiutare”. “Non puoi capirmi”. Lui si gira dall'altra parte, incapace di aiutarla.
È stato tutto così improvviso, ma anche lungo, infinito, non risolto. La stanza di #Delphine, vuota. Il letto intatto, i giochi di bambina, i poster e i colori del suo piccolo mondo. Un flash: la lettera di #Georgette, il pianto di Delphine. “Voglio rivedere la zia, non capisco, che cosa è successo?”, cosa risponderle? Un altro flash: una pozza di #sangue in Piazza delle Erbe, gli urli della sirena della polizia, i curiosi assiepati al di là della improvvisata recinzione.
Gli occhi di Adrienne ancora aperti, la mano immobile a stringere la lettera. “No, no, no” il pensiero fa troppo male “la mia povera …”. I passi silenziosi alle sue spalle riescono ad interrompere il flusso caotico dei suoi pensieri. È Alphonse, la valigia in mano: “Non ce la faccio più, Adrienne. Io ti amo ma non posso più sopportare la tua indifferenza. Sembra quasi che mi disprezzi. Me ne vado, è meglio per tutti e due”. 
Me ne vado. L'ha detto veramente”... “Alphonse...” il nome esce piano dalla sua bocca. Lui la guarda con trasporto, dritto negli occhi: “Puoi ancora chiedermi di restare, amore mio”, ma dalla bocca di Adrienne non riesce ad uscire alcun altro suono. La porta si chiude alle spalle del suo unico, grande amore.
Adrienne non è riuscita a fermarlo, come non era riuscita a fermare Georgette quando era tornata a casa dei genitori. I ricordi si affollano caotici nella sua mente, le voci si confondono, le facce sbiadiscono: “Che ci fai qui? Non ti permetterò di mettere in pericolo la mia famiglia” Alphonse si era rivolto così alla giovane idealista Georgette che non aveva resistito al richiamo dei suoi cari. Doveva rivedere Adrienne, soprattutto doveva rivedere Delphine. Doveva spiegarle. Il punto di non ritorno in cui si trovava la #classe #operaia, la guerra senza quartiere all'#imperialismo, allo #Stato, ai capitani d'#industria. Non aveva tradito sé stessa. Doveva dirglielo. Combatteva per una società più giusta. [...]
“Alphonse, fammi parlare con Delphine, ti prego” era la richiesta della giovane zia. “Non hai più nulla da dirle, ormai hai scelto la strada della #violenza, sei circondata da assassini, forse hai già #ucciso. Come puoi pensare...?” alzava la voce Alphonse. “Papà, aspetta … ricordati che sono grande, adesso” sopraggiungeva Delphine. Adrienne ancora vede, come fosse un minuto fa, l'espressione triste ma decisa della figlia. Non una lacrima, la voce ferma.
Io ti conosco, zia. Tu non sei un'#assassina”. “Delphine, tesoro mio, perdonami. Io non … tu devi...”. 
Bang! Bang! Bang! Ancora quegli spari a ronzare nella sua testa. Adrienne li ricorda, li sente ancora nitidamente.  “Delphine, no! Delphine, fermati!”, si accorge che sta gridando davvero, come se il maledetto destino fosse componibile come un puzzle, come se il puzzle potesse ancora essere completato. [...] [CONTINUA]