mercoledì 23 gennaio 2019

Tre amori - Racconto - Prima Parte




La versione di Latino di domani è troppo importante. Rischio di essere rimandato, dopo il 4 e il 5 e mezzo delle ultime prove. Un’altra estate con questo peso non potrei sopportarla. Mi capitasse un Cicerone, sarei felice. Di meno con Tacito, che per me è imprevedibile! Ma il 4, l’ho preso addirittura con Cesare, che dovrebbe essere il più semplice….
Il fatto è che odio dover tradurre, odio la grammatica tanto quanto amo la letteratura latina. Mi ritrovo qui, all’una di notte, a cercare di prepararmi con scarsissima motivazione perché so che il testo potrà sempre fregarmi.
Io voglio portarla al mare, quest’estate. In Grecia, per un mese intero. Senza dover pensare all’esame di riparazione.
Accendo il televisore in camera. I canali locali già propongono le donne nude e ammiccanti, da chiamare subito. Su Rete 4 è iniziato un vecchio film di terza serata, mentre il sipario si sta abbassando sul Maurizio Costanzo Show. Cambio canale ad un ritmo forsennato, approdando ad un telegiornale.
…A Palazzo di Giustizia gli imprenditori fanno la fila per rivelare al pubblico ministero Di Pietro di aver pagato tangenti ai politici, giustificandosi con l’evidenza di un comportamento generalizzato….
Qui sta venendo giù tutto. Ho ancora nella mente i giorni delle stragi, con la morte di Falcone e Borsellino e delle loro scorte. È già passato un anno. Non ci capisco molto di politica, ma quel giorno….
Il giorno in cui hanno ucciso Borsellino c’era la festa in paese. Ci siamo seduti al pomeriggio sull’alta pedana in acciaio che conduceva alla sala giochi. Eravamo increduli. Rino, Giorgio, il Teo. Li avevo visti poco, durante l’anno. Il Liceo ci ha divisi, alla fine. Ma stare seduti a breve distanza l’uno dall’altro, in un silenzio interrotto da poche e stentoree parole («l’hanno ammazzato», «è finita», «non ci credo», «e ora?»), era come abbracciarsi e farsi forza mentre tutto ci spingeva a piangere. Fermi. Feriti. Confusi. Tornati da una guerra. Alla vigilia di una guerra.
Sono esausto, voglio solo dormire. Bob Marley mi sorride ancora una volta dal poster appeso alla parete del convitto in cui vivo, nove mesi all’anno dal lunedì al sabato. Mi addormento bene, alla fine.
* * *
Perché continuo a pensare a lui? I fiori di questa primavera mi sembrano più splendenti, più colorati e sorridenti che mai. Le ciliegie spuntano sugli alberi dopo la galleria, mentre il treno percorre la solita traiettoria quotidiana.
Oggi lo rivedrò di nuovo, dopo la scuola. Staremo assieme nelle prime ore del pomeriggio, prima del corso di teatro che entrambi frequentiamo. Dove ci siamo conosciuti, otto mesi fa. Piano piano, è cambiato qualcosa fra di noi. Prima si scherzava insieme, lui mi prendeva in giro e pensavo di stargli antipatica.
Intanto ha cominciato ad accompagnarmi alla stazione. A raccontarmi di lui, della sua vita. Le volte in cui non poteva venire a teatro, mi mancava. Era una delusione non ritrovarlo. È sempre più una delusione, mentre è sempre più forte la gioia quando lo rivedo.
In Grecia, vuole portarmi. In vacanza, questa estate. Solo da amica? Ora basta fantasticare! Ho il libro di Storia sulle ginocchia, stavo ripassando perché oggi la Tirelli interroga a sorpresa. Monta l’ansia per il sorteggio. Ma dopo lo vedrò, forse è solo questo che conta.
***
Non so se essere infinitamente grata o infinitamente incazzata con chi ha inventato whatsapp. Tutte queste notifiche, ancorché silenziate, mi ossessionano! Ma ne sono dipendente, ormai. E in mezzo alla foga comunicativa, rischio di perdere di vista proprio i suoi, di messaggi.
Corro a rileggere l’ultimo, per avere l’ennesima conferma. OK. Vediamoci al solito bar alle tre. A dopo. Una frase asettica, banale. Ma così sperata. Niente di eccezionale, non mi ha chiesto di scappare con lui alle Maldive. Avrei voluto?
Era da tempo che non mi sentivo così. Lui è giovane. E bello. L’ho notato subito, la prima volta. Stava in alto, sollevato da una gru, a restaurare l’esterno del Duomo, con infinita pazienza. Mi fermavo ad osservare l’avanzamento dei restauri, mentre lui continuava il suo lavoro certosino. Finché un giorno non si è girato, e mi ha sorriso. Il giorno dopo, sembrava aspettarmi. Mi ha salutato e si è presentato. Io ho fatto lo stesso.
Ci siamo parlati, ogni giorno di più. Temevo di condizionare il suo lavoro. Hai visto mai che possa essere io la causa di un cattivo recupero di un edificio di mille anni? Ci siamo concessi un caffè insieme. La pausa non finiva più, tanto che i colleghi sono dovuti venire a chiamarlo.
Oggi ci rivedremo. Niente di che, sono le solite quattro chiacchiere. Ma se avesse risposto di no, la mia delusione sarebbe stata enorme.
Un altro sguardo al cellulare mi ricorda le coordinate della mia vita. Il mio mestiere di veterinaria, prima di tutto. Con le emergenze più o meno reali dei miei pazienti, o meglio dei loro ansiosissimi “genitori”.
È andata. Ti voglio bene. Un altro gradito messaggio.
Devo guardarmi allo specchio, assolutamente. Non ho avuto tempo di rifarmi il trucco. Devo entrare in un bar e sperare che in bagno ci sia uno specchio.
«Un bicchiere d’acqua, no di…aranciata…ehm…ha i chewing-gum, per caso? Oops, non li vedevo, quanto le devo? ... OK, posso usare il bagno? … A destra e poi a sinistra, ha detto? Ah no, il contrario … spero di trovarlo.»
Sono campionessa di non individuazione dei bagni nei locali.
«Fa che ci sia lo specchio…» penso. Non c’è, ovviamente.
***
«Ricordo ancora i lunghissimi secondi del terremoto. Ci sono momenti, troppi momenti, in cui ho l’impressione che l’incubo si ripeta». Così lei mi ha detto in un momento in cui sentiva, evidentemente, il bisogno di sfogarsi. L’ha fatto con me, rendendomi fiero della considerazione che mi ha dimostrato.
È anche un peso, però. Il peso di un dolore forte, intimo. Che sento, adesso, anche mio. La perdita di un nipotino sotto le macerie. Volato in cielo assieme al suo papà e alla sua mamma. La catastrofe ha annullato l’intera famiglia di sua sorella. Non sono riuscito a trattenere le lacrime. Io che non piango mai. Sempre lucido, razionale. Convinto che certe cose possano capitare solo agli altri. I fatalisti guardano avanti, archiviando le tragedie con l’evidenza che così doveva accadere, era destino. «Dio li ha presi con sé, sotto la propria ala misericordiosa». Ma vogliamo parlare di chi rimane? Perché è successo proprio a lui, proprio a lei? Dio gioca forse a dadi con i destini dei suoi figli?
Ho respirato nell’abisso più torbido, quando mi sono immedesimato in lei. Voglio proteggerla. Altre volte, mi capitava di voler scappare dal male. Ora sento un desiderio irrefrenabile di lenire la sua ferita. Lei, così fragile e così forte. Devo rivederla.
Il lavoro ci ha fatti incontrare, lontani da casa. Cinque giorni, mi rendo conto ora, hanno avuto per me l’intensità di cinque anni fianco a fianco. Non voglio più scappare. E neppure aspettare. Le mando un vocale, subito.
Ciao, io…devo venire dalle tue parti….oggi…devo incontrare un agente, sai…Ti volevo chiedere solo se…se stasera fossi libera….magari potremmo…ma solo se sei libera….potremmo incontrarci…per un saluto….ma se non puoi non fa niente, ovvio…ecco…ciao.
Inviato. Quando si colora quella maledetta tacchetta? Due tacchette ci sono, deve solo aprire il messaggio…Apri il messaggio! Faccio altro, mentre aspetto. Non resisto, devo ricontrollare. Poi ancora. Maledizione, cosa mi sono messo in testa? Scrivo una mail al mio capo. Non voglio vedere, non voglio. E non lo farò. Lo faccio. Le tacche sono entrambe colorate! Lei sta scrivendo. Sì, lo sta facendo. Ora ha smesso. Poi ricomincia, e smette. Quanto scrive? Se il testo è lungo, vuol dire che sta trovando una giustificazione per dirmi di no…è così, senz’altro. Forse si trova in un posto in cui non può scrivere…o può farlo solo con una lettera alla volta…Non mi arriva la risposta. Non arriva. E se arrivasse, sarebbe negativa. La luce del telefonino si spegne in automatico. Io mi alzo, ho bisogno di uscire dall’ufficio.
Arrivo alla porta, afferro la maniglia. Mentre la tiro, il suono inconfondibile della notifica mi trattiene. Corro al cellulare. Certo. Mi fa piacere. Fammi squillo quando arrivi.
Sto già partendo in macchina. Arrivo.
***
La vedo spuntare da dietro l’angolo, con il walkman e le cuffie, ed il suo zaino in spalla accompagnato da una sobria sacca per l’ora di ginnastica, penzolante da una lunga corda che, mi accorgo, stringendo il suo petto le valorizza i seni piccoli ma perfetti, sempre sacrificati da quei maglioni troppo grandi.
Mi sorride appena mi vede. Sembra felice di vedermi. Felice, ma con moderazione. Una felicità contenuta, ma pur sempre felicità, spero io.
«Ciao.»
«Ciao» mi risponde.
«Come è andata? Ti ha interrogato?»
«Per fortuna no. Ma il sorteggio è un metodo sadico, dovrebbero proibirlo come lesione ai diritti umani degli adolescenti. E la tua versione?»
«Tito Livio. Dopo tutto, mi pare che non sia andata male. Volevo confrontarmi con Marcello, ma quello dice sempre che gli è andata male e non vuole mai parlarne dopo. Si tappa le orecchie e gira per i corridoi della scuola come uno zombie. Poi ovviamente gli va sempre bene, e io mi incazzo…»
Sorride. Sorrido anch’io. Ci avviamo, senza dire niente. Forse riesco a capire l’espressione “sento le farfalle nello stomaco”. Sono felice di essere qui, ora, di camminare con lei. Da un lato, vorrei dichiararmi. Dirle qualcosa sul nostro rapporto. Ma cosa? Fidanziamoci? Mi vuoi bene come io ne voglio a te? Possiamo frequentarci non più solo da amici? E via perifrasando. È forse più comodo, invece, continuare così. Aspettare. Se accelero, potrei rimanere deluso. Però vorrei baciarla. Abbracciarla. Toccarla.
«Sei silenzioso, oggi….»
«Io….ecco…stavo solo pensando alla versione…».
Si ferma. «Volevo parlarti».
Vuole parlarmi? Cosa vorrà dirmi? Ho forse fatto qualcosa di male?
«Dimmi pure….ti ascolto….»
La vedo esitare. Prova i miei stessi sentimenti? Se così non fosse, vorrei che mi parlasse del tempo, della scuola, dell’ultimo CD di Sting.
«Ho conosciuto un ragazzo…»
Bastano davvero quattro misere parole in fila a distruggere una speranza? Prima di adesso mi sarei messo a ridere a sentirlo affermare, eppure la mia sensazione è esattamente questa.
«Ah…sì? B..bene ma…perché me lo dici?»
«Sto bene con lui, da amica. Solo che….c’è qualcosa di più…c’è la voglia di stare sempre con lui. Quando non lo vedo, vorrei sempre telefonargli. Citando “Gli Innamorati” di Tozzi, me ne fregherei della SIP…»
Sorride. Mi sta spezzando il cuore, e pure sorride? Mi guarda negli occhi. Occhi verdi, bellissimi. Voglio leggerli e ….ritrovare quello che cerco. Non posso essermi sbagliato.
«Ehm…sono io quel ragazzo?»
Silenzio. Lei mi guarda…
«Eccovi, finalmente! Iniziano le prove, muovetevi! Il regista è già in platea, correte!».
***
Quando gli ho detto del ragazzo, volevo fargli uno scherzo. Ma poco dopo, ancora mentre parlavo, mi sono sentita inutilmente crudele, e avrei voluto tornare indietro. La sua reazione mi ha, peraltro, confermato ciò che speravo. Ero, quindi, al settimo cielo sentendomi, contemporaneamente, in colpa.
«Sì, ma certo!» gli avrei risposto, ma sono venuti a chiamarci e non abbiamo più potuto parlare. Se non attraverso la rappresentazione. Due ruoli secondari, i nostri, nel Riccardo III. Solo poche parole, fra di noi, non studiate per esprimere un sentimento amoroso. Ma ho sentito forte l’attesa di quel momento, pur fuggevole.
Siamo tornati a casa, senza più incrociarci. Ed ora sono qui, nella mia camera.
Suona il telefono. Sarà lui? No, la mamma si sta intrattenendo troppo alla cornetta. Sarà la nonna, o la zia. Un altro squillo. Stavolta la mamma mi chiama. Corro. La vedo con la cornetta in mano.
«È Sonia.»
«Ah…OK. Pronto Sonia, ciao, dimmi….»
La sento e non la sento. Continua a parlare, così tiene occupata la mia linea, accidenti! Lo devo chiamare io, dopo questa telefonata. Mi invento una scusa…che so, ho perso una sciarpa proprio oggi a teatro, l’hai vista? Ci tengo tanto….
«Allora ciao, a domani» sento dire dall’altra parte della cornetta.
«Ciao a te…ciao Sonia» e metto giù. Rialzo il telefono e faccio il numero, che già conosco a memoria.
Sento la TV in sala, c’è un dibattito politico in vista delle prossime elezioni amministrative. Ma l’attenzione è in realtà sulla politica nazionale, che ormai utilizza in modo sempre più frequente gli epiteti insultanti di ladro, corrotto, tangentista, eccetera.
«Pronto, buonasera, vorrei parlare con…»
«Sono io…ciao.»
«Ciao …scusami se ti chiamo a quest’ora, ma…mi sono accorta di aver perso oggi quella sciarpa che mi piace tanto, non l’hai forse trovata tu a teatro?»
«Veramente no, ma … ricordo di avertela vista addosso mentre tornavi a casa….».
«Oh…sei sicuro?» Imbarazzo! «Allora l’avrò persa per strada….».
«Forse quando hai incontrato quel tuo amico di cui mi parlavi?» sembra scherzoso.
«Senti…ecco…volevo darti una risposta….io….ecco…».
«Non ce n’è bisogno. Ci vediamo domani?».
«Domani? Beh certo…domani.»
«Buonanotte allora….io senza dubbio ti penserò!»
Il mio cuore si ferma per un frammento di istante. «Anch’io» rispondo goffamente, «anch’io.»

FINE PRIMA PARTE


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