mercoledì 27 settembre 2017

Estratto n. 5 - Quando il regime sta per crollare, Helga dimostra il suo coraggio

Berlino Est, Wallstrasse, 1986


Ti propongo il quinto estratto dal romanzo "6/6/66 - Quattro vite oltre il Novecento".

Siamo nel 1986Helga ha 20 anni e vive a Berlino Ovest. Sono passati dieci anni dall'ultima volta che ha visto suo padre. Il quale vive a poca distanza, a Berlino Est. Forse è venuto finalmente il tempo di riabbracciarsi...

Il romanzo integrale può essere acquistato in versione cartacea o  scaricato GRATIS in versione e-book (offerta valida fino al 15 Ottobre 2017)

Buona lettura!

P.S. Per comodità di lettura, nel testo troverai grassetti, sottolineature, hashtag e link che, tuttavia, NON sono presenti nella versione originale del romanzo.

#1986 - Capitolo 7 - #Helga
[...] Sono turbata. Mio padre non era in sé. Era terrorizzato. Ho provato a calmarlo, gli ho dato appuntamento per domani pomeriggio alle quattro. Spero che vada tutto bene.
“Max, l'ho sentito al telefono. La sua voce, la sua reazione … non mi sono piaciuti per niente”. “Non aver paura, #amore” mi risponde “l'incubo sta per finire. Qui ad #Ovest tuo padre avrà il tempo di riprendersi. Noi lo aiuteremo”. Mi sorride con dolcezza, un po' mi rassicura. “Ho bisogno di te stasera, Max. Ne ho tanto bisogno”. Facciamo l'amore. Lo sento vicino, mi sento protetta. Poi però lui se ne va, e la notte non è semplice da superare. Tutta la sicurezza che lui mi ha dato sembra sbriciolarsi di fronte ai pensieri, alle congetture che mi rapiscono. E poi c'è Ernst. Papà ed Ernst. E la mamma. Ho bisogno di una camomilla, assolutamente. È ormai notte inoltrata quando riesco, finalmente, a chiudere i miei occhi stanchi.  
Ho visto molte foto, ma la realtà è ancora più impressionante. Mi trovo oltreconfine. Le auto. Sono poche in giro e.... sembrano di un'altra epoca. Come se questa porzione di mondo si fosse fermata ad un tempo indefinito, quasi irreale. C'è indubbiamente tranquillità. “Ecco, signorina, suo padre vive in questo palazzo” mi comunica il poliziotto dell'#est
Ai miei occhi si rivela un casermone di cemento senza fronzoli, con le finestre quasi tutte chiuse e poche terrazze distribuite con regolarità. Uguaglianza architettonica. Anche l'interno è assai sobrio. Ci accoglie il portiere con occhi guardinghi. Saliamo le scale. Ho il cuore in gola, Max mi tiene la mano. Arrivati davanti alla porta, ho l'impulso di tornare indietro. Non me la sento. È Max a pigiare il campanello. Passano minuti interminabili, poi sento dei passi agitarsi. Forse anche lui prova la mia stessa paura? Eppure deve essere una gioia. Rivedersi dopo dieci lunghi anni. La porta si apre molto lentamente. C'è il catenaccio da togliere. I capelli sono parecchio imbiancati, il viso è emaciato ed il corpo è filiforme. Ma è lui, è sempre lui: lo abbraccio, provo a calmarlo. 
Papà” la voce mi trema. “Helga, non .... voi cosa volete da me?” si rivolge ai poliziotti in divisa e a Max, in uniforme militare. “Papà, non ti preoccupare, va tutto bene. Sono qui. L'importante è questo” non riesco a trattenere le lacrime. 
Mio padre sembra toccato, ma non piange. Ha paura. Terrore. “Cosa volete? È una trappola. Ve l'ho già detto e ridetto che non sono una #spia”. “Papà”. “Helga, ti hanno ingannata, figlia mia. Non mi credono”. “Papà, ti prego, fidati di me. Guardami. Devi fidarti di me, non ti ho mai mentito. Ricordi l'ultimo viaggio fatto assieme? - parlo sottovoce -. La fuga, la benzina che finisce, il compagno Ulrick che ci accoglie ma sembra tradirci, la decisione presa di non tornare indietro”. Hans è colpito dal ricordo, ma pare tranquillizzarsi. I poliziotti hanno finalmente deciso di andarsene. Sappiamo tutti, però, che non ci lasceranno liberi.
“Papà, questo è Max, un mio... amico... caro”. “Un soldato? Della #Germania Ovest?”. “Piacere, signore. Helga mi ha parlato di lei fin dall'inizio della nostra.... amicizia”. “Ho capito, state assieme. Mi raccomando, mia figlia è una ragazza speciale”. “Lo so, signore”. Max è stranamente timido al cospetto di mio padre. Forse perché, come me, lo vede dimagrito, ingrigito, poco curato. Deve aver sofferto molto.
“Ma... ditemi, la mia Ruth.... come sta? Io la sto aspettando. Sto aspettando di essere libero. Libero di rivederla, di ricominciare. Il #regime è agli sgoccioli – aggiunge a voce bassissima, come se qualcuno lo potesse sentire mentre pronuncia parole blasfeme – sapete? Non durerà a lungo”. Decido subito di non parlargli della nuova vita della mamma. Non sarebbe pronto ad accettare la nuova realtà. Sembra lui stesso come la #DDR, fermo al passato, fermo all'ideale.   
[...] “La mamma sta bene” rispondo con imbarazzo. Max cerca di venirmi in aiuto avviando un altro discorso: “Signor Hans, so che lei lavora all'azienda elettrica...”.
Tre giorni. È il tempo che le autorità della DDR hanno concesso a me e a mio padre, per coprire un vuoto di lontananza durato dieci anni. Gli racconto tutto di me, dei miei studi. Glisso sulla mamma. 
“Devi aiutarmi” mi dice il terzo giorno. “Certamente, papà”. “Devi portarmi con te ad Ovest. Non ce la faccio più. Sai quante volte ho pensato di buttarmi giù dalla finestra?”. “Papà, cosa dici? Io come faccio? Io...”. “Ti prego, ti prego....” ora le lacrime scendono dai suoi occhi stanchi. Ma è come se non parlasse a sua figlia. È come se cercasse con tutto sé stesso di aggrapparsi all'ultima occasione di essere libero.
Mi alzo dalla sedia, turbata. Non posso, non posso assecondarlo. È troppo pericoloso anche solo ipotizzarlo. [...]
 [CONTINUA]

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