mercoledì 28 febbraio 2018

Fiducia e povertà


Può essere che non fosse la verità. È lecito non dare fiducia a chi non si conosce. L’ho imparato addirittura io, che pochi anni fa arrivai a credere ad un uomo che mi chiedeva i soldi per andare in taxi a recuperare delle chiavi fuori città per aprire la porta a suo figlio, rimasto chiuso in casa. Una storia inverosimile, che non mi impedì di aiutarlo: ancora aspetto che il sedicente fornaio (così si era qualificato) torni a restituirmi il prestito.
Oggi in pausa pranzo sto passeggiando in via Farini, quando vengo fermato da un uomo in condizioni molto decorose che mi chiede di ascoltarlo: ha perso il lavoro e avrebbe bisogno di poco denaro per mangiare qualcosa di caldo. Io ascolto, ma rispondo - mentendo - di non avere denaro. Poi torno a passeggiare, ma continuo a pensare a quell’uomo. Avrà avuto la mia età. La barba ingrigita era curata. Sembrava italiano. Fa freddo, freddissimo. Avrò poi fatto bene a comportarmi così? Non fidarsi è meglio, mi ripeto. Probabilmente quell’uomo non è chi dice di essere. E i miei soldi sarebbero stati destinati ad altro che ad una reale necessità primaria. Però fa così freddo. E quel ragazzo potrei essere io. Se mi trovassi io, nella situazione da lui accennata? E se non avessi altre fonti parentali a cui attingere? È proprio così distante da me un simile scenario? Sempre che, beninteso, mi sia stata detta la verità.
Ci vuole coraggio a mostrare la propria povertà. Ad andare incontro alla sfiducia, al rifiuto delle persone a cui chiedi aiuto. Se fosse tutto vero? Decido di fermarmi. Forse è ancora in giro nelle vicinanze. Tiro fuori del denaro, non molto, dal mio portafoglio. Guardo indietro, ritorno all’imbocco della via. Non sono sicuro sul da farsi, ma vorrei parlargli, guardarlo negli occhi mentre mi risponde. Finalmente lo rivedo e gli faccio cenno di avvicinarsi a me. Ora mi sembra più magro rispetto alla prima impressione. Gli chiedo se è vero che ha perso il lavoro (come mi sentirei io nei suoi panni? Ovvero se in quella stessa situazione il mio interlocutore faticasse a credere alle mie parole?). Sì, mi risponde. La ditta ha chiuso, siamo rimasti a casa in sette. Io so fare l’imbianchino, il manovale. Ed altri mestieri ancora. Mi pare che il suo accento sia del Sud Italia. Mi sembra sincero. “In bocca al lupo” gli dico, dopo avergli dato, se la storia fosse vera, troppo poco. È vera? Non lo so.
Forse è meglio non fidarsi. Forse. Sento i politici, alla fine di una vuota campagna elettorale, parlare di tutto meno che di questo. La fiducia. La solidarietà. La povertà: se non di soldi, almeno di relazioni. Una comunità che esita, seppure a ragione, a dare la propria fiducia rischia di ridursi ad una somma di singoli che al più si sopportano.
Intanto aspetto. Aspetto che torni il fornaio il quale, avendo liberato il figlio chiuso in casa, mi potrà finalmente restituire il prestito. E con esso, la fiducia

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