lunedì 12 febbraio 2018

Sogno o son scrittore?


Chi sono io, veramente? Cos'è per me la scrittura? Ho davvero qualcosa da trasmettere o sono, invece, solo in cerca dei 5 minuti di (relativa) celebrità? O in cerca di una rivalsa nei confronti di chi, in passato, mi ha sottovalutato? Una sfida con me stesso? Un modo per combattere la noia? Una vocazione tardiva?

La mia “professionalità” ufficiale, è, in effetti un’altra …

“Hai pagato la fiera, vero?”. “Entro ieri andava fatto”. “Non l’hai fatto?”. “Come non l’hai fatto?”. “Come dici?”. “Scrittore?”. “Hai detto s-c-r-i-t-t-o-r-e?”. “Una cosa tu dovevi fare, scrittore dei miei stivali: era semplice ed indispensabile. Ora sono nella m..da per colpa di un cog…ne che si crede uno scrittore…”. “…ma è c…ione e basta!”. “Solo co.l.o.e!”. “Co…one!”.

Mi risveglio sudato: sembrava reale, quanto è bello che non lo sia! In testa rimangono, però, le domande dell’incubo. Il libro che ho scritto: cosa riesce a dire di me? Tutti abbiamo qualcosa da dire, io credo. Non mi piace parlare di “morale” o di “verità”. Io vivo di dubbi e incertezze, e coltivo pazientemente le mie paure. Quali di queste paure ho cercato di far emergere, ed esorcizzare, con il mio romanzo?

Forse quella della morte. Poi la sfortuna. La solitudine. La paura di un mondo difficile per la generazione dei miei figli. La guerra. Gli atti terroristici. L’abbandono da parte della persona amata. La perdita della libertà.

Voglio forse trasmettere, oltre alle paure, anche motivi di speranza? O evidenze di progresso? O una lente di lettura “in positivo” della realtà? O un’idea “politica” sulla società del futuro?

La risposta è sì. Ma come esprimere questo mio messaggio positivo? Perché, ad esempio, decido di parlare di una specifica “generazione”, quella del ’66? La risposta è: forse per portare alla luce una comunanza, il legame anche casuale fra persone diverse che è giusto riscoprire per neutralizzare la paura della diversità.

Non è, però, la “mia” generazione: perché questa scelta? La risposta è: in parte per timidezza. In parte per creare un po’ di sano distacco nella narrazione (rischiando, di converso, la superficialità di chi descrive esperienze ed epoche non vissute o vissute poco consapevolmente). In parte perché, in Europa, la generazione dei Sessanta è quella che, forse, ha più visto cambiare il mondo. Soprattutto, ma non solo, in positivo. C’è chi è passato dall'assenza alla conquista della libertà. Chi ha superato una condizione iniziale di povertà. Chi ha affrontato ed è sopravvissuto a tempi difficili (terrorismo politico). Poi ci sono state altre svolte che hanno destato, alcune, speranza; altre preoccupazioni e paura.

L’Europa. Con tutti i suoi limiti, la costruzione di una unione fra Stati che si sono per secoli combattuti è per me entusiasmante. E i cinquantenni di oggi sono stati testimoni privilegiati di questo percorso, non privo di ambiguità e brusche frenate. Un cinquantenne nato a Berlino Est, ad esempio, ha vissuto la pacifica rivoluzione del Muro abbattuto e la riunificazione di un Paese sconfitto e diviso. Cambiamenti epocali!

Quella che racconto è una generazione che, forse per prima, ha sperimentato nei fatti una sorta di identità “europea” (Erasmus, Inter-Rail, ecc.) e che inoltre mi ha permesso, grazie ai suoi figli (protagonisti delle ultime pagine), di esprimere la mia fiducia nei giovani, a cui toccherà prendere in mano il futuro. Sento il dovere di coltivare speranza per i miei figli e poi per i figli dei miei figli. Nessuna rassegnazione mi è consentita. È mia, invece, la convinzione, di cui hanno avuto prova diretta i nati nei Sessanta, che le persone sono in grado di cambiare gli scenari e condizionare la storia.

“Belle parole, proprio belle …. parole di uno s-c-r-i-t-t-o-r-e che adesso, tuttavia, chiamerà subito l’organizzatore della fiera e, con parole convincenti come solo quelle di uno scrittore possono essere, si scuserà per il ritardo da scrittore ed otterrà una proroga per il pagamento della quota che lo stesso scrittore, travestito da cogl…e, non ha corrisposto per tempo”.

Non era un incubo, allora! È la paurosa realtà!

“Muoviti, c..lione!!”.  

Altro che scrittore …

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